GRANITA
di MEDUSA. In questo numero leggerete di sentimento e tempo, di Kallocaina e foreste, di tecnologia e Loro, di racconti e metalli rari, pesci lumaca e esseri miseri.
Benvenuti, questo è il numero centotrentatre di MEDUSA, una newsletter a cura di Matteo De Giuli e Nicolò Porcelluzzi – in collaborazione con Not.
MEDUSA parla di cambiamenti climatici e culturali, di nuove scoperte e vecchie idee. Ogni due mercoledì.
Quello che scriviamo su MEDUSA è gratuito per tutti. Se ti piace quello che facciamo, però, si possono donare 5€ al mese. Oppure 30€ l’anno (e quindi 2,5€ al mese). Oppure si può fare un’offerta libera annuale. Chi si abbona scegliendo una di queste opzioni, riceverà ogni tanto anche dei numeri extra, racconti, post o qualche esperimento pazzo. Se siete già iscritti, potete aggiornare il vostro abbonamento qui:
Per tutto il resto, la nostra homepage è medusanewsletter.substack.com
Solitamente MEDUSA newsletter è divisa in tre parti – un articolo o un racconto inedito e due rubriche, i link dei CUBETTI e i numeri della CABALA. Ogni tanto però variamo il formato e scriviamo una GRANITA, ovvero un trito di CUBETTI, un numero dedicato a una serie di brevi storie e link, come quello che avete appena aperto.
Per il resto, se volete scriverci potete rispondere direttamente a questa email o segnarvi il nostro indirizzo: medusa.reply@gmail.com. Siamo anche su Instagram.
In questo numero leggerete di sentimento e tempo, di Kallocaina e foreste, di tecnologia e Loro, di racconti e metalli rari, pesci lumaca e esseri miseri.
#1 NOI E LORO
Sono da poco arrivati nelle librerie italiane Kallocaina di Karin Boye (1940, ripubblicato da Iperborea dopo la prima edizione di qualche anno fa; traduzione di Barbara Alinei) e Loro di Kay Dick (1977, uscito per minimum fax, traduzione di Assunta Martinese). Entrambi i romanzi si possono collocare nel filone delle distopie totalitarie: Noi di Evgenij Zamjatin (1921), Il mondo nuovo di Aldous Huxley (1932), 1984 di George Orwell (1949) e così via. A questo canone Kallocaina e Loro portano degli elementi laterali, psicologici e narrativi, inaspettati.
Boye è stata una poetessa e scrittrice, traduttrice in svedese di T. S. Eliot e autrice di cinque romanzi. Kallocaina è stato scritto nella Svezia neutrale di fine anni Trenta schiacciata dai venti di guerra. La storia: Leo Kall è un chimico con una carriera senza grandi successi che vive in uno Stato – strettamente gerarchico, militare – costruito sotto terra dopo che una catastrofe ha reso insostenibile la vita in superficie. La società si basa sul controllo reciproco dei cittadini e sul potere indiscutibile dei funzionari. E quindi sulla paranoia diffusa. Alcuni oscuri tentativi di rivolta e di pensiero critico rimangono accesi come una debole brace. Kall, convinto sostenitore del sistema, inventa una droga rivoluzionaria, capace di costringere le persone a dire la verità sotto interrogatorio. Nata come strumento per eliminare le impurezze del super-organismo statale, la Kallocaina finirà invece per essere il siero della disillusione (soprattutto per lo stesso Kall, che si crede genuinamente convinto dell'ideale statale, e che finisce invece per dover fare i conti con i propri desideri repressi). Kallocaina è allora la storia di una difficile liberazione interiore:
Siete capaci di ascoltare la verità, voi? La cosa triste è che non tutti sono abbastanza veri da poter sentire la verità. Potrebbe essere un ponte fra gli uomini, finché è volontaria, sì finché è data e ricevuta come un dono gratuito. Non è strano come tutto perda valore non appena cessa di essere un dono, perfino la verità? No, evidentemente non lo avete notato, altrimenti vi sareste accorti di essere miseri, ridotti al nudo scheletro. Ma chi lo sopporterebbe? Chi ha il coraggio di vedere la propria miseria se non vi è costretto? Non costretto dagli altri. Costretto dal vuoto e dal gelo, quel gelo assoluto che ci minaccia tutti. La comunità, dite. La comunità? L’essere uniti? E ve lo gridate separati da un abisso. Non c’era un punto, un unico, solo punto nella lunga evoluzione delle generazioni, in cui si sarebbe potuta prendere un’altra strada? Bisognava proprio passare sopra l’abisso? Nessun punto in cui si sarebbe potuto impedire al carrarmato del Potere di avanzare verso il vuoto? C’è una strada che attraverso la morte porta a una nuova vita? C’è un luogo sacro dove il destino si trasforma?
Kay Dick è stata una scrittrice e editor inglese. Fu a lungo al centro della scena letteraria londinese di cui, assieme alla sua compagna, la scrittrice Kathleen Farrell, animava le serate. Scrisse anche lei cinque romanzi. Loro è il suo penultimo. È una novella composta da nove capitoli, nove racconti interconnessi. Anche questo libro riflette lo scontro tra società e individui, ma in questo caso a schiacciare i singoli – e le loro emozioni e le loro espressioni artistiche – non è il totalitarismo di stato ma una oscura e non meglio identificata massa di teppisti. Ronde sempre più numerose che non tollerano le espressioni di vita "non conforme" e che saccheggiano il Paese, distruggono libri, opere d'arte, strumenti musicali. La loro presenza è ovunque, anche quando nessun segnale sembra presagirne l’arrivo. Loro è uno studio psicologico sulla paura scritto con la lingua di un racconto onirico:
Eravamo quasi immobili. Tutto attorno a noi mormorava l’estate. Al viadotto Victoria avevamo abbandonato la strada per addentrarci nel bosco, percorrendo poi il sentiero che saliva lentamente, finché una discesa non ci portò in vista della valle. Acri di grano splendevano d’ambra nel pomeriggio di agosto. I campi recintati, così lussureggianti, erano uno spettacolo inatteso. Io camminavo in testa, dietro di me Rick, e il mio cane a seguirci. Il sentiero era stretto, a causa della proliferazione di fiori di campo, rovi e cespugli ingarbugliati che bordavano il bosco su un lato. Avevamo attraversato il campo. C’era stato un momento di paura. L’uomo seduto sullo sgabello di tela, un black retriever ai suoi piedi, il fucile puntato verso la radura. Tre spari espressero la sua indifferenza. «Piattelli», disse Rick. Gli porgemmo un saluto che non ricambiò. Fu un sollievo entrare nella valle di grano. Spari, deboli ma inequivocabili, ci dicevano che l’uomo era ancora lì. Le spighe ci arrivavano alla vita.
#2 TEMPO
In uno dei capitoli del nostro libro ci chiediamo: in che modo la letteratura può riuscire a raccontare il presente? E perché negli ultimi anni fatica a raccontare la contemporaneità? E deve essere questo il suo scopo? (La letteratura deve avere uno scopo?). Sono domande che ci si fa da quando esiste la letteratura. Noi citiamo Trevi, Ortese, Šklovskij, Cases, Landolfi, persino Stalin (è lunga da spiegare). Qualche giorno fa abbiamo scoperto un saggio di Raffaele La Capria degli anni Ottanta – Il sentimento della letteratura, oggi riportato in varie raccolte – che avrebbe risposto a molte di quelle domande. Qui un passaggio:
Ora devo chiarire perché la letteratura deve essere solo al servizio di se stessa, e non di una politica o di una ideologia, non al servizio del re né al servizio del popolo, e neppure al servizio dei suoi rappresentanti. Cosa vuole dire questo? Che la letteratura, soddisfatta della sua autonomia, deve rinchiudersi nelle mura del castello dove solo poche e privilegiate anime belle potranno essere ammesse? No, di certo. Vuol dire invece che essa deve offrire una continua testimonianza di verità.
Quale verità? La letteratura deve testimoniare soltanto la verità del nostro tempo, quella che ci fornisce un’immagine del tempo che viviamo, non importa se è un’immagine parziale. Ma la verità del nostro tempo non è qualche cosa di palese, come i fatti riferiti dal giornale. Essa corre come un fiume sotterraneo sotto le apparenze illusorie del presente. Dunque la storia della letteratura è la storia della continua ricerca della verità (nascosta e invisibile) del proprio tempo, attraverso un linguaggio più forte e resistente di quello che ci serve per parlare e comunicare quotidianamente con gli altri. Questa resistenza del linguaggio, questa capacità di consistere e di durare, sono anche ciò che vi è di bello, la qualità, di un’opera. Anzi direi che la bellezza di un’opera è la forma irripetibile che quell’opera ha assunto nella solitaria ricerca della verità del proprio tempo.
#3 È CHIARO
E ora un po' di attualità. George Monbiot (saggista, ambientalista, attivista) scrive:
Riponiamo la nostra fiducia nella tecnologia. In un’epoca in cui la scienza è autorevole come una divinità, e altrettanto imperscrutabile, guardiamo ai suoi prodotti come la gente del medioevo guardava alla divina provvidenza. In qualche modo “loro” produrranno e installeranno dei dispositivi - le turbine eoliche o i pannelli solari o gli sbarramenti di marea - che risolveranno i nostri problemi assicurandoci che non sia necessario apportare modifiche al modo in cui viviamo.
Ma l'ampia diffusione di queste tecnologie non avverrà fino a quando l'aumento dei prezzi del petrolio non assicurerà che la transizione diventi un imperativo commerciale, e a quel punto sarà troppo tardi. (...) Se lasciamo che sia il mercato a governare la nostra politica, siamo finiti. Solo se prendiamo il controllo delle nostre vite economiche, e richiediamo e creiamo i mezzi con cui ridurre il nostro consumo di energia, riusciremo a prevenire la catastrofe che il nostro sé razionale può comprendere.
Parole lucide riportate nell'edizione del Guardian del... *fruscìo dei giornali sulla scrivania* 2 agosto 2003. Venti anni più tardi siamo ancora qui. Alle tecnologie che citava Monbiot se ne sono aggiunte altre più di moda, come quelle per la rimozione dell’anidride carbonica. Tecnologie che saranno necessarie e benvenute, ma che non sono sufficienti per rallentare la crisi climatica, figuriamoci uscirne. Ieri, 4 aprile 2023, il climatologo David T.Ho, uno dei massimi esperti di queste tecnologie, su Nature ha scritto:
Ho dedicato la mia carriera allo studio del ciclo naturale del carbonio e, negli ultimi anni, allo sviluppo di metodi per testare le tecnologie di rimozione dell'anidride carbonica. Ho esaminato dozzine di proposte e sono stato revisore per il concorso XPRIZE Carbon Removal da 100 milioni di dollari finanziato dalla Musk Foundation. Non nego la necessità di sviluppare metodi di sviluppare metodi di rimozione della CO2, a lungo termine. E guardo con favore ai governi che impiegano fondi tanto necessari in quest'area. (...). Ma mi è anche chiaro che dispiegare tutte le risorse per rimuovere la CO2 dall'atmosfera non ha senso finché le nostre società non avranno eliminato quasi completamente le loro attività inquinanti.
#4 IL FUTURO È GREEN
La popolazione degli Hongana Manyawa conta circa 3.000 persone. Di queste, 300-500 vivono uncontacted nell’isola di Halmahera, cioè isolate e incontaminate dalla società industriale. I loro equilibri e le loro tradizioni rischiano di scomparire, anzi stanno scomparendo perché intralciano la transizione energetica da cui dipende il futuro pulito e sostenibile dell'Occidente e del resto del mondo.
Il governo indonesiano sta investendo sul mercato delle batterie necessarie alla mobilità elettrica, mettendo a disposizione delle compagnie straniere i terreni ricchi di nichel e altri metalli rari, compresa l’isola di Halmahera. Survival, il movimento mondiale per i diritti dei popoli indigeni (“la sua missione è aiutare i popoli indigeni e tribali a difendere le loro vite, le loro terre e i loro diritti umani contro ogni forma di persecuzione, razzismo e genocidio”) ha raccolto delle voci dall'isola.
Una donna Hongana Manyawa contattata di recente ha spiegato: “Stanno avvelenando la nostra acqua, ci sentiamo come se ci stessero uccidendo lentamente.” E un’altra ha aggiunto: “Non do il consenso a prenderla… dite loro che non vogliamo dar via la nostra foresta". Secondo la legge internazionale infatti, le attività minerarie avviate nel 2019 dalla Weda Bay Nichel (WBN) sono illegali, perché alle popolazioni indigene non è stato richiesto il Consenso Libero, Previo e Informato allo sfruttamento della loro terra. WBN ha l'intenzione di continuare le attività di estrazione (che stanno disboscando vaste aree di foresta) per almeno mezzo secolo: inoltre, "Survival ha appreso anche che il gigante chimico tedesco BASF sta progettando di collaborare con Eramet per costruire una raffineria ad Halmahera e che una sua possibile ubicazione potrebbe trovarsi proprio nel territorio degli Hongana Manyawa incontattati".
Hongana Manyawa significa “popolo della foresta”, e sono uno degli ultimi popoli di cacciatori-raccoglitori nomadi dell’Indonesia.
#5 MEDUSE
Approfittiamo di questo numero di GRANITA per fare il punto sulle MEDUSE che abbiamo scritto nell’ultimo anno e qualcosa, da quando cioè ci siamo trasferiti su Substack e abbiamo modificato leggermente il formato della newsletter. Visto che le cose da leggere sono sempre troppe, può essere utile per recuperare qualche arretrato che si è perso nella casella email.
Da quando abbiamo deciso di aprire la newsletter a esperimenti di narrativa, abbiamo pubblicato alcuni racconti di Matteo RAZIONALE, LITORALE, SHUFFLE e RILUTTANTE, e dei frammenti di qualcosa di più lungo scritti da Nicolò, COUNTACH e TORRETTE, oltre alla variazione politico-lisergica BONACCINI.
Abbiamo continuato poi a parlare di letteratura a modo nostro: su CAPRE, per esempio, Matteo metteva insieme alcune cose scritte da Juan Rodolfo Wilcock, e su TRAPIANTI, un omaggio a Meneghello, Nicolò traduceva in veneto alcune poesie di Pound, Borges, Larkin e Pizarnik.
Come sempre ospitiamo volentieri degli amici di tanto in tanto: Ivan Carozzi ha scritto TEMPESTA e Francesco Zanetti ARASUNU.
Nell’archivio trovate anche tutti gli altri pezzi, e i CUBETTI di tutti i numeri. Leggerete di Tolstoj e cocaina, di antichi linguaggi e archeologia fognaria, di scheletri telefonici e H5N1, addestratrici e circuiti sottocutanei, di servizi segreti e sevizie segrete, di uccelli e torri gemelle, Power Point e Hermès, di videogiochi e profezie, di Anne De Vries e Vitaliano Trevisan, riposo e formicai, di inframondo e scuole medie, di Amazzonia e omicidi, betulle e antimateria, di sacerdotesse e Grindhouse, di Qatar 2022 e Tsukumo 24, boschi e laissez faire, di megalopoli accentratrici e Antonio Cederna, di gasdotti e Celati, Yale e PIL, di Disfacimento e di racconti, di balene e di colori pastello, di morte e resurrezione, trasformazioni e fantasie, di piscine e fornaci, di albe e utopie, di attivisti e antropologi, di YouTube e NFT, ghisa e droni, Amazzonia e Le Guin, di galassie e sculture, di mistici e melma, di destini genetici e specchi che non riflettono, di vergogne e dinosauri, di Borges e di Hiroo Onoda, di crepuscoli e formiche, caffeina e Werner Herzog, di Trieste e Chernobyl, di palazzi e Campi Elisi, di propaganda e patate, di balcani e architetti, cani e politici, di ecosistemi e imperi, di paesaggi e paura, di La Hulpe e Ginevra, ideali e spazzatura, incendi e piscine, di astronauti e spine dorsali, di Marte e Chardonnay, di archivi e bombe nucleari, asini selvatici e salti nel vuoto.
Gli abbonati, che ringraziamo molto, sempre nell’archivio possono accedere ai contenuti EXTRA! – a proposito dei quali: ci sarà presto una novità.
Nella fossa di Izu-Ogasawara, in Giappone, è stato avvistato un pesce mentre nuotava a una profondità di otto chilometri, per la precisione 8.336 metri.
Non era mai stato visto un pesce nuotare a quella profondità: oltre gli 8.400 metri i pesci, per intricate questioni anatomiche legate alla pressione, non possono vivere.
Il pesce avvistato appartiene a una specie sconosciuta di “pesce lumaca”, appartenente al genere Pseudoliparis: non rientra in nessuna delle 400 specie note al giorno d’oggi.
Al momento dell’invio di questa newsletter, nell’aria danzano 421,95 ppm (parti per milione) di CO2.