RAZIONALE
di Matteo De Giuli. In questo numero leggerete di professori che sanno tutto e fantascienza giapponese, di forni che non esistevano e ozono, di fisica e sabbia, di un nuovo festival.
Benvenuti, questo è il numero centotredici di MEDUSA, una newsletter a cura di Matteo De Giuli e Nicolò Porcelluzzi – in collaborazione con Not.
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In questo numero leggerete di professori che sanno tutto e fantascienza giapponese, di forni che non esistevano e ozono, di fisica e sabbia, di un nuovo festival.
Durante un corso del primo anno di fisica un professore che aveva spiegato in maniera inutilmente complicata uno dei teoremi fondamentali dell’intero semestre sbigottì davanti alle tante mani alzate a fine lezione e ci chiese, con tono di scherno, se vista la nostra irreparabile stupidità non pensavamo per caso di esserci iscritti alla “facoltà di filologia romanza”. Quasi tutti si misero a ridere, d’altronde ci avevano insegnato già da tempo che la conoscenza del mondo passa esclusivamente dalla conoscenza del mondo fisico. Esistono anche altre discipline meritevoli, ma per quanto interessanti possano essere sono destinate alla secondarietà: in fondo gli ingegneri non sono altro che fisici senza ingegno, i matematici sono fisici senza coraggio, i chimici sono fisici persi nella polvere dell’Ottocento, i filosofi fisici a cui manca il rigore, troppo pigri per fare i calcoli. E se proprio bisogna parlare di scienze umanistiche lo si deve fare dopo aver dipinto in aria due ampie virgolette che accompagnano la pronuncia della parola "scienze".
Ho raccontato questo episodio nella prefazione a Menti Parallele di Laura Tripaldi, uno splendido saggio scientifico e filosofico capace di portare il lettore in un luogo che è in perfetta antitesi agli eccessi degli ambienti limitati, superbi e rigidi che troppo spesso mi è capitato di incontrare quando frequentavo l'università. Qualche giorno fa ho ritrovato un reperto di quegli anni: un mio breve racconto comico sulla vita di un professore di fisica. Non è lo stesso professore della scena di poco fa, ma dentro c'è qualcosa anche di lui, l'ipotesi di una crisi di quelle convinzioni infallibili. Non lo rileggevo da almeno dieci anni e, anche se nel frattempo ci ho rimesso un po' mano, mi sembra di poterlo pubblicare qui sotto come fosse stato scritto da un’altra persona.
Come combattere la solitudine
L'altro ieri ho passato la notte in studio, all’università, non mi ricordo quando mi sono addormentato, mi sono svegliato a metà mattina, e solo perché l'assistente ha bussato per dirmi che ero mezz’ora in ritardo per la lezione del primo anno. Ho subito cercato di fare mente locale, sperando di non aver saltato nessun appuntamento importante. Ho preso un post-it, c'ho scritto sopra “comprare agenda” e l'ho appiccicato con uno schiaffo sul monitor del computer. Prima di andarsene, l'assistente mi ha fatto notare, indicandoli appena, che c'erano già decine di post-it sulla scrivania, e su tutti c'era scritta la stessa cosa. Ho fatto finta che fosse parte di un gioco che faccio di proposito, uno scherzo divertente, ma quando se n'è andato ho stretto i denti.
I distributori automatici sono il nerbo del dipartimento. È sempre una scommessa capire se ci sarà meno coda alla macchinetta del caffè al primo piano, in fondo al corridoio, oppure a quella di fronte alla portineria al piano terra. A volte – se non ho i pantaloni grigi, quelli del completo, che mi stanno stretti e mi tirano troppo – preferisco andare al bar e tornare poi di corsa in facoltà. Cronometrato, ci metto meno di due minuti, mi conviene. In termini di tempo almeno, in denaro no, perché al bar un espresso costa più del doppio. Qualche giorno fa mi arriva una di queste email, email umoristiche le chiamo io, con le immagini e le scritte, ora non me la ricordo bene per intero, ma una delle cose che diceva era che il tempo è denaro. Tempo = Denaro, diceva, e c'era il segno d’uguaglianza algebrica in mezzo. Be', per quanto riguarda le pause caffè, il discorso è molto più complesso di così.
Sono professore associato di fisica matematica dal 1993, insegno, non faccio più ricerca, sono convinto che nel mio campo non ci sia più nulla di significativo da aggiungere, e a me non piacciono le cose superflue. Continuo ad aggiornarmi, quello sì, sfoglio tutte le riviste. Per il resto non sono mai stato un lettore appassionato. Durante il mio anno sabbatico però, come una specie di sfida, ho letto più di quattrocento romanzi. Ora posso dire che gli scrittori che mi piacciono di più, quelli a mio avviso più meritevoli, sono gli ebrei americani, Bellow, Roth, Malamud, e gli scrittori russi, ma quelli minori, laterali, Charms, Erofeev, Chlebnikov, a volte anche Dovlatov. E poi c'è l'autore di quella novella straordinaria, mi torna in mente un nome polacco, o ceco forse, Placzek, o Poláček, debbo controllare. Conosco ancora poco gli italiani. Per recuperare c'è sempre tempo. Intanto però ho deciso di scrivere il mio primo romanzo. Certo un esordio a questa età è un salto nel vuoto, e mi rendo conto solo ora di quanto sia faticoso partire dalla pagina bianca, ma forse la sfida è proprio questa: riuscire ad avere fiducia. In fondo si è uomini di vita e uomini di fede, e di lettere, anche essendo uomini di scienza. Anzi, scommetto che tutti i più grandi poeti erano scienziati, o avrebbero desiderato esserlo.
Oggi a lezione di nuovo in ritardo perché a metà corridoio mi distraggo a pensare alla conferenza sugli spazi di Banach ed Hilbert che non ho ancora preparato, e inizio a prendere qualche appunto al volo, appoggiato al termosifone. Poi arrivo lì, apro la porta, e per qualche motivo l’aula è deserta, inizia a riempirsi solo quando ho finito di scrivere la prima lavagna di calcoli. Continuo fitto fitto con i calcoli di gesso fino all'ultima riga e cancello le prime cose. Si alza un brusio di protesta perché nessuno ha fatto ancora in tempo a copiare.
Quando non devo andare a lezione lavoro quasi sempre da casa, e di solito mi metto in salotto per scrivere. Il salotto di casa è piccolo, con un angolo cottura, c’entra solo un tavolino e qualche sedia. Fino a qualche anno fa avevo quattro sedie déco. 1929. Le ho ereditate dai miei genitori e valgono un patrimonio. Sono molto fragili però. Due si sono rotte, e le ho sistemate nel ripostiglio. Ora attorno al tavolo ci sono due sedie déco e due sedie da giardino, una bianca e una verde. La cucina la uso come piano d’appoggio per i fogli e i libri, la sera mangio al bar, o al massimo mi faccio portare su la roba.
La teoria matematica della realtà è costruita attorno al bisogno di qualcosa che non esisterà mai. Siamo condannati all'inesattezza. Oggi a lezione ho fatto questo esempio: ho chiesto ai miei studenti di dirmi i primi aggettivi che gli venivano in mente. Me li sono segnati: eccessivo, stravagante, pensieroso, malinconico. Usando il computer dell'aula li ho tradotti dall'italiano allo zulu, dallo zulu in curdo, dal curdo in portoghese, e così via con sesotho, gallese, cinese e alla fine di nuovo italiano. Di passo in passo, eccessivo, stravagante, pensieroso, malinconico si sono persi nella traduzione, trasformandosi alla fine in bello, liscio, premuroso, caldo. Questo è tutto quello che posso insegnarvi sulla meccanica razionale, ho detto alla classe. Mi hanno chiesto ridacchiando se questa dimostrazione sarà argomento di esame e ho risposto di sì. Uscito da lezione non trovavo la porta del cortile. Avevo bisogno di fumare, una voglia inarrestabile, e nessuno m’è stato di aiuto, quale cortile?, mi dicevano sotto sorrisi sornioni, allora ho acceso il cohiba in corridoio, peggio per loro, è scattato di nuovo l'allarme antincendio.
Ho preparato una serie di vocaboli che vorrei inserire nel testo, più avanti. Li ho scritti su un taccuino a spirale; la lista inizia così: ermeneutico; destrorse; deoseteria; abluzioni; cordite; scalmo; ghiera; poplite; frattalico; foraggiare; criovelato; catessico; ammantato; miasma, e poi ho scritto anche qualche frase più articolata, tipo scriminatura dei capelli, taccuino a spirale, passanti dei pantaloni, a latere, dita macchiate di nicotina, che mi sembrano tutte espressioni belle, molto letterarie. Spero funzionino.
Voglio parlarvi a cuore aperto: oggi ho fatto un giro in centro. Era la prima volta da non so quanti anni. Non sono un grande flâneur. A un certo punto ho mollato un calcio a un sampietrino, e quello se n’è volato via, scoprendo lo sterrato. Allora ho iniziato a congetturare, e non riuscivo a decidermi se trovare rassicurante il pensiero che anche sotto il manto stradale ci fosse la terra, o meglio il terreno, inteso come fango, argilla, lombrichi, o se piuttosto restarne turbato, temere il giorno in cui Madre Natura deciderà di ingoiare l’intera città, e pareggiare i conti.
Ho trovato questi appunti qualche giorno fa. La mia governante li ha ritrovati, a onor del vero. Era la prima volta che le lasciavo spolverare i libri, di solito i suoi servizi si limitano a bagno e cucina. Ho una governante adesso, mi fa qualcosa da mangiare ogni tanto, ottima cuoca. Mi ero scordato di questo mio progetto, ma non mi dispiacerebbe tornare a scrivere. Suppurazione, noia, abnegazione, di questo son fatte le particelle elementari. Non esagero se dico che è grazie alla tensione di questi fili invisibili che l'universo si tiene ancora insieme.
#1 FUTURO
Il 17 e 18 giugno 2022, all’EastRiver di Milano, è in programma la prima edizione di un nuovo festival, ideato e organizzato dalla Scuola di scrittura Belleville: un festival che abbiamo curato noi due, insieme a Marco Rossari.
Due giorni di dialogo tra letteratura e scienza, informazione e filosofia, per raccontare i nuovi modi di creare, di comunicare, di resistere. Un ciclo di incontri che attraversa le frontiere del corpo e della mente: qual è il futuro del nostro destino sulla Terra?
Presto tutti i dettagli.
#2 ABE
È uscita in questi giorni una nuova edizione di L’incontro segreto, di Abe Kōbō (a cura di Gianluca Coci, per le edizioni Atmosphere libri). Abe Kōbō è un autore che stiamo riscoprendo da poco, con qualche difficoltà visto che quasi tutta la sua produzione è ormai fuori catalogo in Italia. Eppure c’è stato un periodo in cui Abe è stato forse lo scrittore giapponese più conosciuto al mondo dopo Mishima e Kawabata, in un dopoguerra in cui la cultura del paese si ritrovò a cercare di scuotersi dalle scorie della bomba. Secondo molti ricorda Faulkner, ma soprattutto Kafka, o Dick, per le sue esplorazioni spesso surreali e oniriche nei tessuti che legano gli individui alla società moderna, per le sue parabole essenziali, post-moderne e parodistiche costruite però con schietto realismo. Certo Abe non gradiva i paragoni, neanche quelli più lusinghieri:
Quando i miei romanzi sono letti e valutati paragonandoli a quelli del passato, è come se mi si facesse precipitare in un abisso nero come la pece, pregno di disagio e terrore, e allora rischio di non essere in grado di ritrovare la mia strada. Il mio cammino assume invece un suo senso perché assimilo il presente prima che sia fissato un modello.
La donna di sabbia (ultima edizione Guanda del 2012) racconta di un professore che, andando alla ricerca di alcuni insetti rari, si trova imprigionato in un villaggio nel deserto che è continuamente sull’orlo di venire inghiottito dalle dune. L’arca ciliegio (ultima edizione Spirali del 1989) è la storia di un eremita paranoico e geniale che vive nei cunicoli di un cantiere abbandonato che ha trasformato con gli anni in un mondo sotterraneo, un’ampia rete di corridoi e stanze dove rifugiarsi dopo l’esplosione di un nuovo disastro nucleare di cui percepisce l’imminenza. Nell’Incontro segreto invece l’allegoria è trasferita ai labirinti di un gigantesco ospedale dove il protagonista del libro si perde alla ricerca della moglie. Ci torneremo su.
#3 IL FORNO DI FANGO
Inizia a posarsi del tempo anche sul terribile aprile di Shangai, come altre metropoli cinesi sigillata per evitare nuovi picchi di contagio: si è parlato molto della severità estrema di questi ultimi lockdown, tra carestie cittadine e pestaggi dimostrativi, prelievi forzati, le assurdità burocratiche. In queste situazioni di emergenza si creano scenari inediti, immagini che solo qualche giorno prima non ci potevamo immaginare: viene in mente una vecchia MEDUSA che raccontava quelle fosse comuni in Indonesia, scavate dagli "scettici anti-mascherina" raccolti per strada (il vaccino non esisteva ancora). Scrivevamo:
L’intreccio di cause che l’ha reso possibile non rientrava nell’orizzonte degli eventi fino a febbraio. Eppure, i governi nazionali, i comitati tecnico-scientifici a cui si rivolgono e le infrastrutture finanziarie da cui dipendono, hanno il potere di costruire queste scenografie.
Gli scenari inediti continuano a farci vacillare, e si prova a scriverne per dargli un senso. Qui si può vedere un breve video che racconta la condizione dei camionisti bloccati per settimane alle porte di Shangai, obbligati ad arrangiarsi in qualche modo. Una volta capito l'andazzo, alcuni di loro hanno costruito dei forni con il fango.
Tra un pasto e l’altro, si sono tagliati i capelli tra loro: avevano scorte di cibo per quattro-cinque giorni. Nei giorni di temporale non potevano cucinare, e non hanno mangiato.
La quarantena continua. La seconda economia mondiale sta tentando di sradicare la COVID-19 quando il resto del mondo sembra – per ora – convivere in una specie di normalità pandemica; a Pechino lunedì sono stati segnalati 48 nuovi casi tra 22 milioni di abitanti, a Shangai meno di 500.
Ieri Xinhua, l’agezia di stampa del governo, ha riportato le parole di Sun Chunlan, la vicepremier cinese: dice che servono misure più rigorose per ridurre la trasmissione del virus. Nel frattempo verranno estesi gli sconti sui crediti d'imposta, prorogati i pagamenti della previdenza sociale da parte delle piccole imprese e le estinzioni dei prestiti, e verranno avviati “nuovi progetti d'investimento”. Poi si vedrà.
L’effetto surriscaldante del metano (CH4) è 80 volte più potente di quello dell’anidride carbonica (CO2). La riduzione di queste emissioni è essenziale per il contenimento del riscaldamento globale.
Secondo Gabrielle Dreyfuss (Institute for Governance and Sustainable Development di Washington) dei tagli drastici al metano e altri inquinanti climatici di breve durata – idrofluorocarburi, fuliggine, ozono troposferico e protossido di azoto – potrebbero portare a un abbassamento delle temperature di 0,26°C entro il 2050.
Un risultato quasi quattro volte superiore a quello derivante dalla sola riduzione della CO2, che secondo la scienza del clima porterebbe a un abbassamento della temperatura di 0,07°C entro il 2050.
Al momento dell’invio di questa newsletter, nell’aria danzano 421,21 ppm (parti per milione) di CO2.