CORPI
di Irene Doda. La storia degli incendi in Patagonia e della guerra di Milei contro le popolazioni indigene.
Benvenuti, questo è il numero centottantuno di MEDUSA, una newsletter a cura di Matteo De Giuli e Nicolò Porcelluzzi – in collaborazione con Not.
MEDUSA parla di cambiamenti climatici e culturali, di nuove scoperte e vecchie idee. Ogni due mercoledì.
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In questo numero siamo felici di ospitare un articolo di Irene Doda, autrice che si occupa di temi legati al lavoro e alla tecnologia, e che ha pubblicato L’utopia dei miliardari. Analisi e critica del lungotermismo (Tlon, 2024).
In chiusura l’unica certezza: i numeri della CABALA.
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In questo numero leggerete di mapuche e Benetton, tencofascismi e streghe, accumulazione e risorse, popolazioni e domini.
Quando si scrive di tecnologie e capitalismo, come spesso accade nel mio lavoro, si analizzano anfratti del potere che appaiono tutt’altro che materiali: i diritti d’autore sulle opere create dall’intelligenza artificiale, le politiche di moderazione delle piattaforme, le chiavi crittografiche, la privacy delle applicazioni. La sfera digitale è un dominio in cui il potere si esercita e si riproduce in forme inedite. Spesso, però, corriamo il rischio di farci catturare da queste nuove sembianze del capitalismo e dell’autoritarismo, dai nuovi problemi e le nuove criticità, perdendo di vista il modo in cui tali sistemi perpetuano se stessi.
Nell’ultimo anno, grazie a una rete di affetti oltre oceano, ho osservato quanto sta accadendo in Argentina: l’ascesa del presidente ultraliberale Javier Milei e la progressiva riduzione degli spazi democratici. Attraverso discussioni con amici e compagni sono incappata in questa storia: quella degli incendi in Patagonia e della guerra del governo contro le popolazioni indigene. Pur non potendo comprendere appieno — da osservatrice esterna — le profonde implicazioni personali, spirituali e politiche per le comunità coinvolte, ho ritenuto alcune vicende emblematiche di una certa narrazione delle destre che potremmo definire tecnofascista. I fascisti entusiasti della tecnologia spacciano i propri metodi per innovativi: vogliono creare nazioni-startup, colonizzare Marte, digitalizzare le valute. Ma, se li guardiamo da vicino, non vediamo altro che una vecchia storia che si ripete, quella di violenza sulle terre e sui corpi. Sono stata felice di poter dialogare, per raccontare tutto questo, con Evis Millan, attivista della lof Pillan Mahuiza, una comunità indigena mapuche.
Nel 2024, l’Argentina ha ritirato i suoi negoziatori dalla COP29 a Baku, in Azerbaigian. Come noto, il presidente Javier Milei è un negazionista del cambiamento climatico, che ha definito una “bugia socialista”. È anche un libertario autoproclamato, un entusiasta del capitalismo digitale e delle criptovalute, e un sostenitore dei tagli allo stato sociale e della riduzione al minimo dell’intervento pubblico in economia. Dall’ottobre 2023, quando è salito al potere, una delle priorità della sua amministrazione è stata l’intensificazione dello sfruttamento delle risorse minerarie e naturali presenti sul territorio argentino. In questo contesto, uno dei bersagli principali sono i popoli originari, in particolare i mapuche, che abitano una vasta regione tra il Cile centrale e l’Argentina meridionale: territori che per secoli hanno difeso dalla violenza coloniale, statale e aziendale.

Milei ha smantellato le tutele legali che, almeno formalmente, garantivano i diritti dei popoli indigeni. Ha soppresso la Commissione speciale dei popoli indigeni, una consulta aperta alle comunità mapuche, chiuso il Registro nazionale delle comunità indigene — che consentiva loro di acquisire riconoscimento giuridico internazionale — e abrogato la legge del 2006 che garantiva il diritto di vivere nei territori ancestrali.
Poi, nell’agosto del 2024, è stato varato un pacchetto legislativo chiamato Regime di Incentivi per i grandi Investimenti (RIGI), con l’obiettivo di attrarre capitali esteri. Già nel dicembre dello stesso anno, il gruppo minerario inglese Rio Tinto ha investito 2,5 miliardi di dollari per sfruttare le miniere di litio. L’Argentina detiene circa un quinto delle riserve mondiali di questo minerale strategico per la transizione energetica e la produzione di batterie per veicoli elettrici. Intanto, all’inizio del 2025, la regione centro-meridionale del Paese è stata devastata da incendi che, secondo la NASA, hanno distrutto oltre 30.000 ettari di foresta. Va ricordato che, nel 2024, il governo Milei ha tagliato dell’81% i fondi destinati alla gestione degli incendi e ha declassato il ministero dell’Ambiente a sottosegretariato.
Il legame tra negazionismo climatico, devastazione ambientale e criminalizzazione delle comunità indigene me lo ha spiegato proprio Evis Millan. “Pillan Mahuiza si trova a circa 100 chilometri dalla città di Esquel, nella provincia di Chubut, nel sud della cosiddetta Patagonia, in Argentina”, racconta. “L’11 febbraio abbiamo subito una serie di irruzioni simultanee. Hanno preso di mira diversi luoghi, tra cui una radio comunitaria. Anche la nostra lof è stata assaltata. Ci siamo svegliati all’alba con un commando unificato di forze di polizia che ha sfondato le porte e ammanettato alcune persone”. Tra queste Victoria Fernández Núñez, una giovane donna che vive nella lof da cinque anni. “Abbiamo chiesto il mandato di perquisizione, ma si sono rifiutati di mostrarcelo. Siamo stati trattenuti fino alle sei di sera. Solo allora ce l’hanno mostrato, e abbiamo scoperto il motivo dell’operazione”. Alle attiviste mapuche viene contestata la responsabilità di alcuni incendi, in particolare uno nella zona di Esquel. Victoria Fernández Núñez è stata sottoposta agli arresti domiciliari per 60 giorni, senza prove convincenti. È stata rilasciata solo il 7 aprile.
La repressione contro il popolo mapuche si fa sempre più sistematica, alimentata da una narrazione che criminalizza la loro resistenza. La ministra per la Sicurezza Patricia Bullrich ha definito gli attivisti indigeni “terroristi”, nel tentativo di legittimare una narrazione che li dipinge come nemici interni, sabotatori. “Abbiamo bisogno che si faccia eco, che si contrastino le bugie del governo”, dice Millan, “che stigmatizza i mapuche come terroristi”.
Questa strategia repressiva è sostenuta da una rete di complicità che coinvolge anche governi locali e giudici, come il governatore di Chubut, Ignacio Torres. “Hanno bisogno di creare un nemico interno all’esterno – continua Millan – perché sanno che il popolo mapuche ha difeso il territorio per migliaia di anni, ha protetto la vita, si è preso cura dei fiumi, delle montagne, delle foreste”.
Le comunità mapuche sono in lotta da anni contro governi e multinazionali (tra cui, notoriamente, il gruppo italiano Benetton) per riappropriarsi dei territori ancestrali, luoghi con cui esiste un legame spirituale e di cura reciproca. E la repressione contro di loro è strettamente legata all’erosione degli spazi democratici. “È un piano sinistro: il governo parla di libertà, ma ciò che viviamo è una dittatura. Non stanno togliendo solo i diritti degli indigeni, ma quelli dell’intera società argentina. Le recenti repressioni contro pensionati, insegnanti e operatori sanitari ne sono la prova concreta”, conclude Millan.
La situazione argentina rivela alcune costanti ideologiche delle destre globali: negazionismo climatico, tagli al welfare (quindi ai beni pubblici), repressione contro le minoranze, attitudine colonialista e patriarcale. E infine, l’alleanza con il grande capitale internazionale: un cerchio perfetto. È il ritorno di ciò che Marx chiamava “accumulazione originaria”: la separazione dei lavoratori dai mezzi di produzione, ma anche la distruzione dei rapporti comunitari e la messa a valore dei territori, così come dei corpi, concepiti come meri strumenti di produzione. Scrive Silvia Federici nella prefazione di Calibano e la strega: “(...) in un sistema in cui la vita è subordinata alla produzione del profitto, l’accumulazione della forza lavoro può essere ottenuta solo con il massimo della violenza cosicché la violenza stessa diventa la forza più produttiva”.

Javier Milei, con il suo entusiasmo per criptovalute e innovazione tecnologica, rappresenta una forma apparentemente inedita di autoritarismo ultra-liberale venato di tecno-entusiasmo, conferma quanto spesso, ancora oggi, i meccanismi fondamentali di accumulazione del capitale restino immutati, anche nel contesto di una apparente “smaterializzazione” dell’economia. La azione politica sua e del suo governo si basa su logiche storiche di espropriazione e violenza: smantellamento dei legami comunitari, repressione delle soggettività dissidenti, saccheggio ambientale, appropriazione forzata delle risorse. Il capitalismo contemporaneo — lungi dall’essere una forza immateriale regolata esclusivamente da algoritmi e flussi finanziari — continua ad aver bisogno di corpi e territori da disciplinare e sfruttare: in primis, quelli delle popolazioni ancora sottoposte a dominio coloniale.
L’accumulazione originaria, nella sua accezione marxiana, non è mai stata solo una fase storica: oggi si ripresenta con forme aggiornate ma riconoscibili, legittimate da narrazioni futuristiche che promettono discontinuità e progresso, mentre servono solo a mascherare il ritorno costante dei processi estrattivi e violenti. Siamo alla conferma del solito paradigma. E in questo senso, Milei non è un’anomalia.
Siamo al numero 181 di MEDUSA, e ogni tanto ci sembra utile unire i puntini che abbiamo disseminato negli anni. Di Argentina, per esempio, ci è già capitato di scrivere, grazie soprattutto a Francesco Zanetti, che lì vive da qualche tempo. Potere recuperare così la sua MEDUSA dal titolo ARASUNU. È il racconto della sua visita alle imponenti cascate di Iguazú e dell’impacciato incontro con la comunità indigena dei guaranì, nella persona di Guaral, una guida di zona:
“Lavorare negli hotel che hanno invaso casa tua, scarrozzare turisti per la giungla e vedere che indossano scarponcini tecnici, magliette termiche, gioielli brillanti e dormono in teche di vetro termoregolate ti obbliga a desiderare qualcosa che non sapevi esistesse. (…) Gli chiedo informazioni sulla sua religione e Guaral mi risponde vago, si contraddice: infine mi confessa che non si ricorda. Sarò capo villaggio, non sciamano mi dice. Parla la lingua dei suoi antenati ma non ne conosce i riti, ignora i significati dietro le invocazioni al sole, all’acqua, alla terra, ripete le tradizioni così come gli sono state insegnate senza distinguere immagine e simbolo, sacro da simulacro. In questo ci somigliamo”.
In LILIANA Zanetti racconta invece le ondate di calore delle estati a Buenos Aires, il desiderio quasi feticistico sviluppato dagli argentini per alcuni modelli di ventilatori, i conseguenti cali di corrente che si abbattono sulla città, e le vicende di Nordelta, uno degli ultimi humedales rimasti nella zona di Buenos Aires, “sacred ground faunistico che ha visto negli anni il progressivo sterminio di svariate specie di uccelli, caimani, serpenti, tartarughe, iguane, anfibi”. Lì un’invasione di capibara era stata accolta da molti esseri umani come se fosse una sorta di lotta di classe.
Per il resto, sul substack di MEDUSA trovate l’archivio completo della newsletter degli ultimi anni.
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La società statunitense Colossal ha dichiarato di aver de-estinto l’enocione, noto anche come metalupo, di cui ha annunciato la nascita di tre cuccioli.
Questi animali erano estinti da 10.000 anni.
Ma parlare di de-estinzione è, in questo caso, solo una mossa di marketing. Colosssal ha preso le cellule di un lupo grigio vivente e le ha modificate in 20 punti, per farlo somigliare geneticamente ed esteticamente, il più possibile, a un metalupo. Più un parzialissimo maquillage genetico che una vera de-estinzione.
Al momento dell’invio di questa newsletter, nell’aria danzano 427,76 ppm (parti per milione) di CO2.