GRANITA
di MEDUSA. In questo numero leggerete di feste e di rifiuti, di Nikola Tesla e di accordi, di paesaggio e di fuoco, di madri e petrolio.
Benvenuti, questo è il numero centoquarantanove di MEDUSA, una newsletter a cura di Matteo De Giuli e Nicolò Porcelluzzi – in collaborazione con Not.
MEDUSA parla di cambiamenti climatici e culturali, di nuove scoperte e vecchie idee. Ogni due mercoledì.
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Solitamente MEDUSA newsletter è divisa in tre parti – un articolo o un racconto inedito e due rubriche, i link dei CUBETTI e i numeri della CABALA. Ogni tanto però variamo il formato e scriviamo una GRANITA, ovvero un trito di CUBETTI, un numero dedicato a una serie di brevi storie e link. Oggi è giorno di GRANITA.
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In questo numero leggerete di feste e di rifiuti, di Nikola Tesla e di accordi, di paesaggio e di fuoco, di madri e petrolio..
#1 LA 150
Lo annunciamo qui timidamente, ma ve lo ricorderemo anche nei prossimi giorni: il 20 dicembre, dalle 19:30, al bar The Rabbit (via Pimentel 18, Metro Turro, Milano) festeggiamo i nostri primi 150 numeri.
È una scusa per vedervi e salutarci prima dell’anno nuovo. Ma ci saranno con noi amici e amiche di MEDUSA per delle letture veloci (una mezz’ora al massimo, promesso). Ci saranno anche delle copie del libro con uno speciale prezzo simbolico, e poi della musica. Ci vediamo lì!
#2 LA SESTA COP NELLA STORIA DI MEDUSA
Il 30 novembre è iniziata la COP28 (Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici), quest’anno a Dubai, negli Emirati Arabi Uniti, il settimo paese al mondo per produzione di petrolio e il settimo per emissioni di gas serra pro capite.
L’obiettivo delle COP è contrastare l’emergenza climatica in tutta la sua complessità e effetti catastrofici, spesso in Paesi poveri e sottorappresentati, anche se la gran parte del dibattito si concentra per forza di cose sul riscaldamento globale, e sulla necessità di ridurre l’uso dei combustibili fossili.
Come molte di voi già sapranno, il Presidente di questa COP28 è Sultan Ahmed Al Jaber, ovvero l’amministratore delegato della Abu Dhabi National Oil Company (ADNOC), l’azienda petrolifera degli Emirati Arabi Uniti, la dodicesima società del settore al mondo. Bene.
Per chi non è riuscito a informarsi, proviamo a riassumere alcuni spunti.
Durante un evento della scorsa settimana organizzato da SHE Changes Climate (una campagna ideata per garantire una rappresentazione giusta e paritaria delle donne nella diplomazia del clima) il Presidente della COP, che – ricordiamo – è anche l’amministratore delegato della dodicesima società petrolifera al mondo, interrogato da Mary Robinson (prima socialista a diventare presidente dell’Irlanda negli anni Novanta, poi Alta commissaria ONU per i diritti umani, eccetera) ha dichiarato che “non c’è nessuna scienza, o scenario, che dica che l’abbandono graduale dei combustibili fossili permetterà di mantenere l’aumento delle temperature entro 1,5 gradi”. Demolendo così il significato di uno degli accordi diplomatici più importanti dell’ultimo decennio, quello di Parigi sul clima (COP21).
Un paio di giorni fa, Al Jaber ha dichiarato di essere stato frainteso e, ricordando la sua formazione di ingegnere, ha ribadito di avere fede nella scienza. Accusato di arroganza nei confronti di Robinson, Al Jaber ha aggiunto di avere “grande rispetto per Mary Robinson […] È stato un grande onore ricevere il suo invito per partecipare a una discussione su clima e genere". Infine, Al Jaber ha corretto il tiro: “la riduzione e l'eliminazione graduale dei combustibili fossili... è essenziale. Deve essere regolata, equa, giusta e responsabile”. Tutto e il contrario di tutto, al ventunesimo secolo piace così.
Riportiamo infine una riflessione di Ferdinando Cotugno che ci sentiamo di condividere: Qui a COP28 colpisce il fatto che la ministra della transizione ecologica spagnola, Teresa Ribera, parli tre lingue, sia la voce, il volto e la guida per il negoziato per conto dell'Europa, al fianco del commissario al clima Hoekstra, e abbia una così profonda conoscenza della questione climatica, mentre il ministro dell'ambiente italiano Gilberto Pichetto Fratin viene qui nella completa, totale irrilevanza, non ha niente da dire, non ha nessuna lingua con cui dirlo, non sapeva niente l'anno scorso, continua a non sapere niente quest'anno. Siamo completamente fuori dai giochi a livello politico (i nostri tecnici sono tra i più bravi, ma è un'altra storia), forse è meglio così, comunque colpisce la nostra scelta di auto-marginalizzarci politicamente così in un negoziato tanto importante.
Ecco. Da venerdì partirà la cavalcata che porterà a qualche risultato nella trattativa intorno al phase-out dei combustibili fossili: le premesse sono le solite, cioè gravemente subottimali.
#3 LE RISPOSTE DI UNA REGISTA
Uno dei motivi per cui ci piacciono i film di Alice Rohrwacher è che non nascondono la sporcizia. Le colline, le campagne, i campi del centro Italia sono un rigurgito di reperti storici e monnezza, niente a che vedere con l'estetica consolatoria, panoramica, da cartolina, di molti altri film italiani – persino tra quelli indie o “impegnati”. Ma lo sguardo di Rorwacher si tiene alla larga anche dal pericolo opposto: non sguazza cioè nel brutto. L’Italia dei film di Rohrwacher è bella, è disturbante, è quello che è, insomma. Non sappiamo se è un posto in cui vorremmo vivere, ma ci viviamo.
(Riguardo all’accumulo infinito di rifiuti e le contraddizioni che porta con sé, invece, vi rimandiamo a questi due racconti pubblicati qui su MEDUSA: uno e due).
Visto che ci siamo, vi consigliamo tre cose attorno a Rohrwacher, oltre al suo ultimo film, La Chimera, che trovate ancora al cinema. Intanto due interviste: questa (video) con Lorenzo Gramatica su Lucy, e questa (scritta) fatta da Cristina Piccino sul Manifesto, di cui citiamo un passaggio:
I luoghi dei tuoi film sono quelli del tuo vissuto, qui le zone fra Lazio, Toscana, Umbria dove sei cresciuta e abiti. Al tempo stesso assumono una prospettiva storica, sono un campo di battaglia del nostro tempo.
Mi affascina questo paesaggio italiano nei suoi legami di strazio e di bellezza, che porta in sé i segni delle lotte tra passato e presente, fra l’uomo e la natura. Quando penso a questo l’immagine più evocativa è un luogo dopo un grande concerto col pubblico che è andato via lasciando oggetti, rifiuti. I miei film si situano fra le cose dimenticate, nell’idea di qualcosa che è stato ma che non si capisce ancora cosa diventerà. Mi piace occuparmi di ciò che viene abbandonato, credo che dovremmo imparare a riutilizzare gli oggetti scartati anche in modo diverso dall’originario. Cambiare l’uso delle cose aiuta a cambiare le idee, e anche noi stessi. Lo stesso vale per il paesaggio che è un bene collettivo pure se le decisioni che lo riguardano sono nelle mani di pochi imprenditori. Ma è un’eredità di migliaia di anni lasciata a tutti, perciò dobbiamo difenderlo.
E poi vi consigliamo questo brevissimo libro, molto bello, una conversazione tra Rohrwacher e Goffredo Fofi: Dopo il cinema. Le domande di una regista. Qui sotto, un estratto che ci sembra risuoni bene con alcune cose che abbiamo scritto negli anni su MEDUSA.
#4 BRUCIA ANCORA
Una notizia minore: a fine novembre un grande incendio ha colpito il Tesla Science Center di Long Island. È uno degli edifici che Nikola Tesla utilizzò, nell’ultima parte della sua carriera, come laboratorio. Scommettiamo però che il science center si riprenderà presto: il museo statunitense, che è un progetto ancora in fase di consolidamento, ha molti appasionati e investitori, alcuni milionari.
Quei laboratori vennero costruiti quando Tesla riuscì a convincere J. Pierpont Morgan, il noto banchiere, a finanziare uno dei suoi progetti più grandiosi: la Wardenclyffe Tower, una enorme torre ideata per la trasmissione di eleettricità senza fili. All’epoca, siamo nei primissimi anni del Novecento, la stampa bollò il progetto come la “follia di Tesla da un milione di dollari”.
Trasmettere elettricità senza fili, attraverso la terra, e trovare il modo trasformare l’intero pianeta in una enrome presa elettrica, era in effetti già da un po’ di tempo il programma ambizioso, probabilmente irrelizzabile, che risucchiò tutte le energie mentali e tutti i finanziamenti di cui Tesla godeva nella parte finale della sua carriera. La torre venne poi abbandonata e distrutta (non è quella che si vede nella foto, ma questa). Vennero distrutti anche molti capannoni-laboratorio, e solo da qualche anno uno di questi era stato ristrutturato e riallestito per il progetto del museo (è quello che si vede in foto).
Tesla è stato uno degli scienziati più geniali di sempre, ed è ancora tra i più noti, i più citati a sproposito e i più incompresi. Ma anche al massimo della sua popolarità e delle sue capacità di intuizione, Tesla non fu mai un ricercatore duro e puro, fu più che altro un inventore. Secondo la definizione di altri è stato un poeta della scienza, uno stregone, un mago.
Lui del suo lavoro scrisse: “Il fine ultimo delle invenzioni è il dominio completo della mente sul mondo materiale, la sottomissione delle forze della natura a favore delle necessità umane”.
La sua eredità: centinaia di brevetti e invenzioni che costruirono la base del sistema elettrico a corrente alternata, dei motori elettrici a corrente alternata, e quindi della seconda rivoluzione industriale. Ma l'ultima parte della sua carriera, come dicevamo, è quella su cui di solito si chiude un occhio.
Tesla la passò infatti a fare piani che all’inizio erano ambiziosi, poi divennero bizzarri e in vecchiaia furono semplicemente folli. Si dedicò a una serie di esperimenti temerari, di cui in parte abbiamo perso traccia, perché i macchinari andarono distrutti dallo stesso Tesla o dai proprietari degli edifici e dei laboratori, come quello di Long Island, che Tesla non riusciva più a pagare.
Captò dei segnali, a un certo punto, che interpretò con sicurezza come messaggi proveniente da Marte. Disse di aver inventato l’arma militare definitiva, un fantomatico Raggio della Morte (che fece preoccupare l’FBI, che requisì le sue carte). Negli ultimi anni Tesla si abbandonò alle sue ossessioni e alle manie. Si innamorò di un piccione del parco. “Amavo quel piccione come un uomo ama una donna e anche lei mi amava. Finché è stato con me, la mia vita aveva uno scopo”. Iniziò a pensare in base 3. Nel senso che tutto, nella sua vita, doveva essere divisibile per 3: i suoi gesti, gli oggetti che lo circondavano, i suoi passi, gli scatti da dare alla serratura, i suoi pensieri. Scelse di passare gli ultimi anni della sua vita stanza di un modesto Hotel, il New Yorker, al 33esimo piano, alla stanza numero 3327.
#5 FIGLI DI UNA DEA MINORE
Vi salutiamo con la Kourotrophos di Megara Hyblaea, una statua arcaica in calcare, originariamente dipinta, del VI secolo a.C. Raffigura una donna dalle forme maestose, avvolta in un mantello che, seduta su un trono, allatta due gemelli.
Guardatela con di attenzione: è ricostruita a partire da centinaia di pezzi. Perché è ridotta così?
Megara Hyblaea è il nome latino una antica colonia greca che sorgeva nei pressi di Augusta, in Sicilia. I bombardamenti statunitensi nel sud Italia durante la Seconda guerra mondiale furono spietati, pesantissimi, e alcune zone vennero completamente annichilite. Tra queste c'era anche la piana di Augusta, appunto, che poi venne scelta come uno dei punti di sbarco degli alleati. Ma la Kourotrophos non fu vittima della guerra.
Dopo le bombe arrivò la pace e a quelle terre fu imposto lo sviluppo: in questo caso sottoforma di fabbriche, petrolchimici, cementerie. È in questo periodo, negli anni Cinquanta, che la statua intera venne scoperta dagli operai che lavoravano alla costruzione della grande raffineria RASIOM, oggi ESSO. La trovarono e gli fu ordinato di farla fuori e di rimetterla sotto terra, assieme a ogni altra traccia della necropoli. I resti archeologici non potevano ostacolare l'avanzamento dei lavori. Non era più tempo di fantasmi. La Kourotrophos venne distrutta in 936 frammenti da un martello pneumatico.
Gli archeologi della Soprintendenza se ne accorsero, però, e provarono a rimettere più o meno assieme i pezzi. Oggi la statua è conservata nel museo Paolo Orsi di Siracusa.
L’area archeologica di Megara, che affaccia sul mare, è ancora chiusa tra le raffinerie e la cementeria, in un polo industriale ormai in parziale dismissione e che, almeno in parte, è stato costruito sopra quei resti.
Nelle ultime settimane la notizia si è diffusa anche in Occidente: la Cina sta assistendo a un aumento di casi di polmonite infantile. Come raccontato dal Post, in un ospedale nella provincia orientale di Anhui i medici hanno effettuato 67 broncoscopie in un giorno.
La media giornaliera, per quanto riguarda questi esami, è di “una decina”.
Un ospedale nella provincia orientale dello Zhejiang ha dichiarato che le visite pediatriche siano “triplicate rispetto allo scorso anno e che a circa 1 bambino su 3 sia stata diagnosticata una polmonite da Mycoplasma pneumoniae”.
Il 23 novembre l’OMS ha dichiarato di avere ricevuto nuove informazioni direttamente dal governo cinese: non sono stati rilevati “nuovi o strani patogeni”. Si dovrebbe trattare di virus influenzali che trovano sistemi immunitari indeboliti dall’isolamento degli ultimi anni.
Al momento dell’invio di questa newsletter, nell’aria danzano 420,21 ppm (parti per milione) di CO2.