PERDERE
di Matteo De Giuli. In questo numero leggerete di Mao e di Macao, di Cotai e sguardi bassi, di camminare e croupier, di pianeta e proteste.
Benvenuti, questo è il numero centoquarantotto di MEDUSA, una newsletter a cura di Matteo De Giuli e Nicolò Porcelluzzi – in collaborazione con Not.
MEDUSA parla di cambiamenti climatici e culturali, di nuove scoperte e vecchie idee. Ogni due mercoledì.
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In questo numero leggerete di Mao e di Macao, di Cotai e sguardi bassi, di camminare e croupier, di pianeta e proteste.
Dice lo schermo alla sinistra del croupier: “500 HK $”. Dice poi: “1.000 HK $”. E più sotto riporta una colonna di numeri (“5 8 7 / 9 6 7 / 10 8 4 /3 7 3 ...”) e dei sinogrammi che non so interpretare. È un tabellone stretto e lungo, ce n'è uno a ogni tavolo, accanto a ogni croupier, come fossero compagni di lavoro, e infatti lo sono, i croupier a sinistra e gli schermi a destra – i croupier svolgono i loro rituali fatti di mezze frasi e gesti eleganti, e i display mostrano i risultati delle ultime venti mani e le puntate minime. Schermo, croupier, dadi, tavolo e gruppetti di persone, la stessa formazione si ripete cento volte nella sala grande del casinò.
Il croupier del mio tavolo ha la mascherina chirurgica, ce l'hanno tutti i croupier, deve essere una forma di privacy, mi dico, più che una questione sanitaria, e mi sorprendo di quanto in fretta ho dimenticato la paura del contagio. Tre dadi danzano sotto una campana di vetro ogni volta che il croupier preme un bottone. Quando i dadi si fermano, si inizia a contare. Big o small. Even o odd. Triples, doubles... Esce 3 + 10 + 4: vince la ragazza che sui dispari aveva messo 2.000 dollari di Hong Kong, 235 € circa. Esce 2 + 2 + 2: una vincita che varrebbe 180 volte la puntata, ma nessuno ha creduto nella tripla, e allora il banco si prende tutto. Io gioco solo per scherzo, nella mia testa, senza soldi, ma gioco e vinco e mi persuado, a un certo punto, di aver decifrato la volontà dei dadi. Perché dopo tre dispari deve uscire un pari, dopo uno small due big e di nuovo due small, e così succede, penso una cosa e quella succede, ci prendo sempre. Anche gli altri al tavolo, forse, sono convinti di avere il mio stesso potere.
I tavoli si riempiono e si svuotano, sistole e diastole di cui non si riesce a seguire il ritmo. Qualcuno vince, ma mi sembra che soprattutto perdano, perdono quasi tutti. Le signore cinesi di sessant'anni con il vestito buono tirano fuori i soldi dalla borsetta come darebbero la mancia ai nipoti, ci sono ragazze tristissime ed eleganti, senza accompagnatori, che rimangono con le fiches in mano per ore, gruppi di uomini d'affari sconfitti e silenziosi, e c'è qualche turista occidentale un po' su di giri con una lattina di birra in mano. Ma anche i loro sguardi sono bassi, non esulta nessuno, ogni tanto viene aperto un nuovo tavolo, e allora si fanno altre puntate, si giocherella con le fiches tra le mani, si perde e si va avanti così, in eterno, 24 h al giorno.
La città di Cotai non esiste, è stata costruita sul nulla, una striscia di terra artificiale strappata al mare a sud di Macao. È stata riempita di nulla, di stradoni e pochi palazzi sontuosi che sembrano grattacieli sdraiati sul fianco: sono alberghi di lusso, resort e casinò. Tra gli edifici ci sono copie pigre dei monumenti di Parigi – una specie di torre Eiffel, una bozza di arco di trionfo –, di Londra – c'è un Big Ben più piccolino – e di Venezia: c'è una versione outlet del campanile di San Marco che se ne sta lì indecente accanto a un Ponte di Rialto ancora più tristarello, più squadrato, ancora più approssimativo degli altri finti-monumenti-veri che si affacciano su di lui.
All'interno, nella parte commerciale di uno degli edifici, sono stati ricreati alcuni canali in stile veneziano. Bisogna farci due passi dopo l'orario di chiusura, come ho fatto io, tra le serrande abbassate e le luci sempre accese, mentre nelle altre ali del palazzo si continua a scommettere e qui invece per qualche ora non si può più comprare. La Venezia di Cotai non è una imitazione di Venezia, Italia. Piuttosto – e così viene venduta – è la riproduzione della finta Venezia che c'è a Las Vegas, è la copia di una copia, e a ogni replica l'immagine sembra aver perso consistenza.
Il cielo è in realtà un soffitto basso, con le nuvole dipinte sulla volta turchese sempre illuminata. Nell'aria che odora di cloro, che odora di parco giochi, le casse invisibili della filodiffusione sversano di continuo una playlist morbosa di pezzi easy listening. Bisogna camminare accanto ai canali, accanto alle gondole a motore ormeggiate, bisogna pensare di riconoscere qualcosa di familiare, un balcone già visto, magari, o un ponte, un sotopòrtego, questo incrocio, un marciapiede, e capire che non è mai così, che la memoria non può che svanire mentre la musica da ascensore ti accompagna di nuovo verso i tavoli.
FINE PRIMA PARTE
SECONDA PARTE QUI
#1 LETTURE
In attesa della seconda parte, vi consigliamo qualche lettura. Anni fa sul Tascabile uscì un pezzo di Paolo Pecere, un reportage sulle tracce dei romanzi dello scrittore Lawrence Osborne, in giro per l’Oriente, tra occidentali nostalgici del benessere borghese.
“Un paesaggio di desideri realizzati, e quindi di disciplinata follia”, è così che Osborne racconta gli interni dei palazzoni di Macao nella Ballata di un piccolo giocatore (2014). Macao, ma soprattutto Hong Kong e le regioni amministrative speciali cinesi tornano anche nel suo ultimo lavoro, Java Road, appena pubblicato in Italia, come gli altri libri di Osborne, da Adelphi.
È un thriller languido che, come altri di Osborne, racconta la vita derelitta degli espatriati, mentre a Hong Kong scoppiano le proteste, gli scontri, le manifestazioni, la repressione delle autorità cinesi.
Era interessante parlare di Mao a bordo di uno yacht di lusso, tra cicale di mare e martini. Del resto Mao amava dare feste da ballo e sedurre giovani infermiere - a centinaia, secondo certe cronache. Non era un puritano. Il Presidente incombeva dai nostri cieli cerulei (…). Ogni epoca deve evocare il proprio imperatore. Jimmy disse che le nazioni non cambiavano granché con il passare del tempo. La Cina era ancora un impero, e gli Stati Uniti erano e sarebbero sempre stati un paese del primo Ottocento.
Su Hong Kong, add editore ha pubblicato due bei saggi: L'eclissi di Hong Kong. Topografia di una città in tumulto, di Ilaria Maria Sala, e La città indelebile. Hong Kong tradita e ribelle, di Loiusa Lim. Infine a Macao si perde anche uno dei protagonisti del romanzo di Paolo Pecere, Risorgere (Chiarelettere, 2019).
#2 PUDDLE OF MUDD
Per quanto surriscaldato e forse un po' ridicolo, con i suoi colpi di sole maldestri, si avvicina l'inverno. Nelle città, specie quelle lavoriste e senza alberi, vetro e acciaio, dove la qualità dell'aria non è conforme alla vita e alla speranza, si diffonde quella precisa voglia di bosco. Ecco allora che vi salutiamo con un estratto da Sul camminare di Annabel Streets (sempre add), una lettura ASMR che divaga intorno le proprietà delle passeggiate senza meta.
Fango e terreno umido spesso ci dissuadono dall'andare a fare due passi. Temendo di scivolare o bagnarci i piedi, evitiamo i sentieri melmosi a favore dell'asfalto. Ma invece di trattare il terreno non compatto come un motivo per non camminare, dovremmo fare il contrario e usarlo come una buona ragione per uscire, scegliere il sentiero fradicio al posto di quello asfaltato, e respirare a fondo. Da quando la penicillina è stata coltivata a partire da una muffa del terreno, gli scienziati indagano le proprietà curative e salutari dell'humus. Nel 2015 alcuni ricercatori della americana Northeastern University hanno annunciato di aver testato un antibiotico prodotto dal terriccio che uccide i ceppi resistenti di stafilococco e tubercolosi. Sono seguite altre scoperte: è stato studiato il Mycobacterium vaccae, un batterio della terra che - nel cervello dei topi - produce serotonina, agendo così da antidepressivo. (…) Gli effetti antidepressivi di questo batterio della sporcizia sono stati scoperti per caso da un'oncologa londinese, Mary O'Brien, che ricavò un siero dal batterio e lo somministrò ai malati di cancro al polmone, nella speranza che desse una scossa al loro sistema immunitario. Osservò invece un altro effetto: i pazienti dell'ospedale si rallegravano. Dicevano di sentirsi più felici e di accusare meno dolori rispetto a chi che non aveva ricevuto dosi del batterio. Strano a dirsi, riferivano anche livelli più alti di energia e una maggiore lucidità di pensiero.
(…)
L'esposizione al fango e al terriccio, in particolare nelle zone agricole, potrebbe anche ridurre il rischio di asma. Secondo Helen Cox, una delle pediatre britanniche più specializzate in allergie, diversi studi - compreso uno pubblicato sul «New England Journal of Medicine» - hanno associato i bassi tassi di asma nei bambini cresciuti nelle fattorie all'ampia gamma di batteri presenti nel loro ambiente. Nel frattempo, è noto che una sostanza chiamata geosmina, derivata da batteri e presente nella terra bagnata, infonde un senso di pace. Siamo profondamente sensibili a questo odore intenso, capaci di individuarne l'equivalente di sette gocce in una piscina. Secondo gli psicologi evolutivi, troviamo l'odore della geosmina tranquillizzante e rassicurante perché avvertiva i nostri lontani antenati della presenza di acqua e suolo fertile. La geosmina era il profumo della sopravvivenza. Le prove sono chiare: non solo dovremmo cogliere al volo l'occasione di percorrere paesaggi terrosi e fangosi, ma a un certo punto potrebbe essere persino il caso di affondarci dentro le mani, riempirci i polmoni dell'odore della terra e non essere troppo meticolosi quando la laviamo via.
Scientific American ha pubblicato un articolo dal titolo: lo stato del pianeta in 10 numeri. Ve ne anticipiamo 3.
4.300 miliardi di dollari: le perdite economiche globali dovute a disastri climatici dal 1970.
4,4 millimetri: il tasso annuo di innalzamento del livello del mare.
66.000 chilometri quadrati: la deforestazione lorda nel mondo nel 2022. Come Piemonte, Lombardia e Veneto assieme.
Al momento dell’invio di questa newsletter, nell’aria danzano 420,61 ppm (parti per milione) di CO2.