NOVITÀ
di MEDUSA. In questo numero leggerete di supergiovani e città nucleari, di città atomiche e sorpassi elettrici, di operatori e cose, di tigri e ambigue utopie.
Benvenuti, questo è il numero centocinquantuno di MEDUSA, una newsletter a cura di Matteo De Giuli e Nicolò Porcelluzzi – in collaborazione con Not.
MEDUSA parla di cambiamenti climatici e culturali, di nuove scoperte e vecchie idee. Ogni due mercoledì.
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Care e cari, grazie per essere ancora qui con noi. Dopo sei anni e tanti numeri, abbiamo deciso di ritoccare il nostro formato. È un ritocco leggero: da oggi infatti non ci sarà più una distinzione tra il lungo pezzo inedito/racconto/reportage e la rubrica dei CUBETTI, ma un flusso di cose che vogliamo raccontarvi. Dopo quasi due milioni di battute spazi inclusi, sentiamo di avere esplorato il formato del “pezzo” in tutte le sue direzioni: da oggi ci affidiamo a questo telaio più flessibile. Salutiamo la rubrica dei CUBETTI con un abbraccio da tramonto infuocato, è stato molto bello. Quando pubblicheremo i nostri racconti o reportage, urgenza che sentiamo ancora forte, li firmeremo a nostro nome. In tutti gli altri casi, vi arriveremo firmati MEDUSA.
E la CABALA? La CABALA resta al suo posto, non scherziamo.
Magari per chi ci legge non sono modifiche così sostanziali, ma dal nostro punto di vista è comunque una novità, e ci tenevamo a condividerla.
Per il resto, la nostra homepage rimane medusanewsletter.substack.com, se volete scriverci potete rispondere direttamente a questa email o segnarvi il nostro indirizzo: medusa.reply@gmail.com. Siamo anche su Instagram.
In questo numero leggerete di supergiovani e città nucleari, di città atomiche e sorpassi elettrici, di operatori e cose, di tigri e ambigue utopie.
#1 COME È ANDATA, LA FESTA?
Benissimo, grazie. Il 20 dicembre abbiamo festeggiato i nostri primi 150 numeri con tante amiche e amici, e siamo stati tanto bene. Grazie ancora Pietro, Elenora, Severino e Stella per avere letto insieme a noi, e grazie a tutte per la partecipazione. Ci è venuta la voglia di rifare tutto almeno un paio di volte all’anno, anche grazie al sostegno e all’amore di Cicuta, l’occulta gang di riviste che ci ha aiutato a organizzare la serata.
Sui nostri canali vi aggiorneremo rispetto ai prossimi incontri. Intanto non prendete impegni per il 24 gennaio, che Cicuta sta organizzando una serata speciale, sempre al The Rabbit di Milano: I migliori Gianni della nostra vita. Seguiranno aggiornamenti.
#2 TIGER TATEISHI
Livia Satriano è la curatrice di Libri Belli, e nel suo canale Telegram condivide quasi ogni giorno le sue scoperte di ricercatrice/collezionista/archivista. Ieri ha pubblicato una vignetta di Tiger Tateishi, artista e illustratore noto agli appassionati del genere per avere lavorato alle maestranze di Sottsass nel periodo Olivetti. Tra il ‘68 e i primi Ottanta, Tateishi ha vissuto per una dozzina di anni a Milano insieme alla moglie Fumiko, della quale non abbiamo trovato il cognome da nubile.
Influenzata dai fumetti americani e da Dalì, dalle tigri borgesiane e dalla fantascienza speculativa, l’opera di Tiger Tateishi – nella concezione e nella tecnica – si distingue per una qualità eccezionale. Per capirci qualcosa, siamo finiti a leggere un bell’articolo di Matteo Maculotti su Doppiozero, che è dedicato a Tateishi ma esordisce con una citazione di Sottsass disturbante, perché viene da mezzo secolo fa e racconta di un futuro dove
i “prodotti da consumare” si spostano automaticamente lungo i canali di una specie di rete sotterranea di super-posta pneumatica, interrogata automaticamente da tastiere portatili comunicanti via radio con i calcolatori dei super-magazzini di raccolta. […] Così siamo diventati tutti artisti artigiani, provvisti di super-strumenti per fare da soli quello che ci pare, e siamo anche artisti-nomadi […] perché possediamo questa super-possibilità di comunicare che ci permette sempre di sapere tutto (di tutto e di tutti) e ci permette di far sapere (a tutti) tutto di noi […]. Siamo arrivati ad uno stadio nel quale siamo sempre noi i rappresentanti di noi stessi; […] al punto che non ci sono più poteri ma ci sono flussi vaganti di volontà e di passioni pubbliche […] come assestamenti o moti molecolari di liquidi o gas.
Seguono i progetti di architetture impossibili, virtuali, c’è pure un “tempio per danze erotiche”, e l’autore di queste utopie è proprio Tateishi, relegato a una minuscola firma sul fianco.
L’arrivo a Milano coincide con il tentativo di sintesi tra pittura surrealista e fumetto, la ricerca di un’espressione potenziata dalle caratteristiche dei due linguaggi. L’articolo di Doppiozero è molto documentato, ci si trova anche il preciso racconto che portò Tateishi alla fase dei suoi dipinti a vignette, Untouched by Human Hands di Robert Sheckley, tratto da una raccolta che include anche “Seventh Victim”, da cui Elio Petri ha tratto La decima vittima.
Il titolo del racconto è una testimonianza della vedova Fumiko. Dopo tante mostre, inclusa una prima personale a Ginevra, e collaborazioni e copertine di Casabella, Tiger Tateishi torna in Giappone, dove si dedica all’editoria per l’infanzia: è questo il contesto, scrive Maculotti, che lo porta a comporre uno dei suoi capolavori, Tora no yume (“Il sogno della tigre”).
Ho cominciato a sfogliare il libro con l’impressione di avere tra le mani un esemplare unico, o addirittura un oggetto illusorio che poteva svanire da un momento all’altro davanti ai miei occhi, come capita al risveglio da certi sogni.
Tiger Tateishi è morto di cancro ai polmoni nel 1998, aveva cinquantasei anni.
#3 ŽELEZNOGORSK
“Železnogorsk (in russo Железногорск) è una città della Russia che si trova nel Territorio di Krasnojarsk, con una sviluppata industria nucleare. È stata precedentemente nota come Krasnojarsk-26. Secondo i risultati preliminari del censimento del 2010 aveva una popolazione di 85.559 abitanti, mentre nel 2002 ne aveva 93.875”.
Non si trova molto di più da leggere, in giro. Železnogorsk è stata inventata nel 1950 per produrre plutonio militare. Per quarantadue anni nessuno, tranne il personale della base e le loro famiglie, era a conoscenza della sua esistenza. Nel 1992 Boris El’cin, il predecessore di Putin, ha rivelato la sua esistenza: prima di allora la città non era apparsa su nessuna mappa ufficiale. Ecco l’ingresso della città o, se preferite, il posto di blocco:
Ma Železnogorsk è capace di offrire una discreta ospitalità, tanto che su Booking si possono trovare i contatti del suo hotel principale (l’unico?). L’hotel di Železnogorsk vanta una media voto di 8,3 – Ottimo.
Purtroppo gli animali non sono ammessi. L’hotel poi ci offre dei preziosi scorci liminali, sospesi nella quarta dimensione:
Prima di salutare Železnogorsk, vi lasciamo con un consiglio di lettura, “La vita nelle città chiuse” di Silvia Kuna Ballero (uscito sul Tascabile ormai qualche anno fa). Ma soprattutto vi lasciamo con la bandiera di Železnogorsk, una pietra miliare della vessillologia, e nostro primo motivo di interesse per questo luogo.
#4 OPERATORI E COSE (E STREGHE, ALIENI, MOSTRI...)
Su Lucy ho scritto quello che so sulle allucinazioni ipnagogiche, e ho raccontato come mi sono sentito quando mi è successo di averle. Sono episodi che capitano a molte persone, anche se il più delle volte si tratta in manifestazioni blande. Nei casi peggiori però ci si ritrova a letto in una paralisi funzionale dei muscoli e si iniziano ad avvertire delle presenze minacciose nella stanza: ladri quando va bene, altrimenti streghe, fantasmi, alieni o fulmini globulari (a seconda dell’umore del vostro inconscio, probabilmente). Il fatto è che tutto è estremamente vivido; non sembra un sogno, e in parte non lo è: siete svegli.
Prima del terrore ricordo di aver provato una strana gratitudine. La luce bianca di una sfera elettrica filtrava dalle stecche di legno delle tapparelle. Un bizzarro agglomerato di materia abbagliante era apparso all’improvviso e volava lì, ronzando, fuori dalla mia finestra, al terzo piano. Dopo qualche secondo il libro che tenevo accanto a me sopra le coperte si è contornato di lampi, e poi la stessa sorte è toccata ai pantaloni che avevo abbandonato sulla sedia. Ho visto entrambi gli oggetti sollevarsi in aria. E tutto il resto, nella stanza, rimanere al suo posto. Dopo qualche secondo ancora mi sono sentito levitare anch’io. E ho volato sul serio.
Il resto dell’articolo si trova qui.
Per quanto brutto possa essere viverle (molto, a volte) dal punto di vista medico le allucinazioni ipnagogiche sono catalogate come poco più di un disturbo del sonno. Al tempo stesso, per una persona considerata mentalmente sana, vivere un'allucinazione ipnagogica potente significa fare un'esperienza sconvolgente. Per qualche minuto sembra di poter comprendere, almeno in piccola parte, cosa può voler dire vivere con patologie gravi come la schizofrenia. È un azzardo, a dirla così, ma alcuni degli elementi, tutto sommato, sono gli stessi: nel conflitto tra mente conscia e inconscia nasce un mondo fatto di visioni, allucinazioni narrativamente coerenti che la persona abita e non mette in dubbio.
Su questo, un libro che ha sorpreso entrambi è Operatori e Cose, di Barbara O'Brien, uscito per Adelphi ormai un paio di anni fa. L'autrice (nome d'arte) è una donna statunitense che negli anni Cinquanta ha, per sei mesi, sofferto di una forma grave di schizofrenia paranoide. Poi ne è uscita da sola, senza aiuto: un caso rarissimo. OeC racconta di quelle settimane passate a dar retta alle voci, alle visioni, al teatro di allucinazioni paranoidi che nella vita di O'Brien si fondeva poi con l'ambiente di lavoro della grande azienda dove lavorava: miseria e manipolazione sia nella mente inconscia che nella vita quotidiana. OeC è un libro straordinario per diversi motivi, e il valore della testimonianza è solo il più scontato. È scritto e pensato in maniera sorprendente, e immerge il lettore in una "realtà alternativa, un circo di ologrammi che traballano tra il noir losangelino e il dramma kafkiano", come scriveva Nicolò in una recensione su ICON. Vi consigliamo di recuperarlo.
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#5 ADDIO, MICHELANGELO
“Camminando fino all’hotel, per l’ennesima volta ammirandolo dal basso verso l’alto, di nuovo ho fallito nel contenerlo con lo sguardo; ci sono delle serate invernali, non poche, in cui la pasta di foschia e tubi di scarico impediscono di vederne la cima. Il palazzo allora, così plastico, la sua tinta ruggine e il fondo grigio-violetto ricorda una scenografia da cinema espressionista.
Davanti all’hotel c’era un uomo solo, appoggiato a un palo segnaletico inutile da settimane, chinato a recuperare delle chat. Ci siamo salutati e gli ho chiesto se per caso lavorava lì. Si chiamava Luigi ed era uno dei due responsabili della cooperativa socio-sanitaria che in questi giorni sta gestendo l’hotel. L’ho capito solo quando me l’ha raccontato: dieci giorni prima avevo incrociato una sua intervista con Barbara D’Urso”.
Iniziava così la MEDUSA #63, un racconto della situazione surreale che aveva preso il controllo dell’hotel Michelangelo – una torre accanto alla Stazione Centrale di Milano – nei primi mesi della pandemia. Al Michelangelo venivano quarantinate anche persone bisognose, che in quarant’anni non avevano mai dormito in un hotel, e che all’improvviso si trovavano di fronte a una televisione sottile come un’ostia, la fibra ottica, un letto sproporzionato e il bagno in camera, con una vasca idromassaggio e la sua pulsantiera babilonese.
Avevo anche intervistato Luigi Regalia, un’intervista lunga e ricca di dettagli assurdi, un’esperienza eccezionale e preziosa che avevo rimosso finora: sono i doni della pandemia.
Qualche giorno fa, passeggiando verso il mercato di Benedetto Marcello, ho scoperto che il Michelangelo non c’è più. Al suo posto c’è tanta luce. Tra qualche anno diventerà “MI.C”, copio dal sito: “Il concept mira alla razionalizzazione dei flussi di spostamento e all’implementazione della pedonalità: il verde diviene attore principale della transizione proposta, sia attraverso la creazione di un giardino ai piedi del nuovo complesso, sia attraverso l’attivazione d’un paesaggio naturale diffuso”. Vedremo, magari implementando la pedonalità il verde diverrà attore principale eccetera.
Tra i partner del progetto c’è Luca Mangoni Architetto (al coordinamento architettonico e urbanistico), il Supergiovane di Elio e le Storie Tese.
Sono passati quasi quattro anni da tutte quelle storie. L’altro giorno cucinando ascoltavo La Riserva, un podcast, e Daniele Manusia ha riassunto al volo come ho vissuto il 2023, magari vale anche per voi: è stato un anno complicato, e pesante, ma rispetto all’epoca della pandemia, “è stato il primo anno in cui è di nuovo tutta colpa mia”.
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#6 LE TRE STIGMATE DELLA FANTASCIENZA
Chiudiamo con un altro ringraziamento, questa volta ad AgenziaX che ha pubblicato Il Fantasma della verità. Quarant'anni con Philip K. Dick. Il volume esce sotto la firma collettiva di Un’Ambigua Utopia, lo stesso nome della rivista di fantascienza e di rivolta degli anni Settanta
All'interno del libro – dedicato a Dick ma anche alla memoria di Antonio Caronia che fu tra i primi, in Italia, a capire l’importanza di Dick – trovate i testi di alcuni incontri organizzati dalle amiche e gli amici della libreria Anaress di Milano: con Giuliano Spagnul, Carlo Pagetti, Maniella Magrì, Loretta Borrelli, Nicoletta Vallorani, Alberto Abo Di Monte e Matteo De Giuli. Qui un estratto del pezzetto di Matteo:
C’è una famosa conferenza che Dick tenne in Francia, a Metz, nel ’77. Una delle pochissime occasioni pubbliche di uno scrittore schivo. Lì parlò di cose straordinarie: degli indizi che aveva raccolto circa l’esistenza di livelli di realtà non immediatamente accessibili; di come quella che consideriamo la vita quotidiana potrebbe essere un’illusione, una mera pretesa. Parlò anche di fatti molto intimi: del suo pensiero mistico, delle visioni che aveva ormai da qualche anno, delle sue ossessioni paranoidi, di come aveva gestito la consapevolezza del fatto che per questi pensieri veniva spesso preso per matto. All’intervento, che venne poi trascritto e pubblicato, Dick diede un titolo scemo: Se vi pare che questo mondo sia brutto, dovreste vederne qualcun altro. Lo scrittore gnostico e ironico.
Lo scorso 8 novembre vi raccontavamo della competizione tra Tesla e Byd, al momento le principali produttrici di veicoli elettrici al mondo,
Scrivevamo che “secondo gli analisti, le vendite di Tesla dovrebbero riprendersi nel quarto trimestre”: il trimestre si è concluso, e Tesla non è più la 1° produttrice di veicoli battery-only al mondo.
Negli ultimi tre mesi BYD ha venduto 526.000 unità, Tesla 484.000.
BYD è nata nel 1995.
Entro il 2030 vuole arrivare a vendere, soltanto in Europa, 800.000 unità all’anno. Nel frattempo la Commissione europea ha avviato un'indagine sulla dinamica delle importazioni di veicoli elettrici cinesi, venduti a un prezzo aggressivo grazie ai sussidi di Pechino. I prezzi saliranno.
Al momento dell’invio di questa newsletter, nell’aria danzano 421,47 ppm (parti per milione) di CO2.