SPUGNE
di Ivan Carozzi. In questo numero leggerete di acqua salata e dolce, di profondità abissali e pareti sventrate, di polimeri e fango.
Benvenuti, questo è il numero centosessantasette di MEDUSA, una newsletter a cura di Matteo De Giuli e Nicolò Porcelluzzi – in collaborazione con Not.
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In questo numero leggerete di acqua salata e dolce, di profondità abissali e pareti sventrate, di polimeri e fango.
Ho trascorso quaranta minuti nel caldo appiccicoso di un negozio di libri rari, nel centro storico di Lecce, e ne sono uscito felice, con un libro promettente tra le mani, un libro sulle spugne marine.
La libreria consiste di un unico ambiente, dove bisogna procedere con l'attenzione di un marine nella giungla fitta di carta e per niente illuminata (Lecce barocca rifulge nel sole di fine agosto, ma nella libreria è buio). In vetrina erano esposti il secondo numero di Osservatore Politico e una collezione di edizioni speciali di Riza psicosomatica. Il pomeriggio in cui sono entrato, intorno alle cinque, il titolare sedeva a una scrivania in fondo alla stanza, come mastro Geppetto nel ventre della balena, in fondo in fondo, nel cono di luce di una lampada accesa.
Il libraio appartiene alla specie dei librai selvaggi, gelosi dei libri in vendita, morbosi, lunatici, asociali. Prima di parlarvi delle spugne, vorrei spendere due parole su ciò che ho pensato mentre passavo in rassegna le mensole straripanti, sotto la sua sorveglianza (me lo sono visto arrivare alle spalle, perché avevo rimesso a posto un libro con la costoletta nel verso sbagliato). Ho pensato che da tempo non incontravo un libraio selvaggio e che da ancora di più non tornavo a formulare con chiarezza un pensiero: la specie dei librai selvaggi – lettori forti, onnivori, patologici, mezzi matti, non sempre cortesi con i clienti – che ho avuto la fortuna d'intravvedere al suo tramonto, sta scomparendo.
L'autore del libro sulle spugne si chiama Franco Antonio Mastrolia. Anche il libro sulle spugne parla di un mondo tramontato. Mastrolia è stato un docente di Storia Economica presso la facoltà di Economia di Lecce, almeno fino al biennio 2017-2018. I suoi ultimi libri sono L'Orto Botanico-Agrario di Lecce. Dai primi dell'Ottocento agli anni Trenta del Novecento e Istituzioni e conoscenze agrarie in Terra d'Otranto (1910-1930). Nel 2003 aveva pubblicato La pesca delle spugne nel Mediterraneo del XIX secolo per Edizioni Scientifiche Italiane. È un testo molto peculiare, originale, non tanto per la scrittura, ma per la stranezza dell'oggetto della ricerca: la spugna, il suo utilizzo e il suo commercio. Pare che fino al libro di Mastrolia nessuno se ne fosse occupato in modo sistematico e scientifico, e perciò Mastrolia si era trovato di fronte a un compito faticoso, considerando anche la scarsità degli studi sulla pesca in generale fino a quel momento.
Mastrolia ha dovuto recuperare e collegare insieme una miriade di fonti, dati, statistiche, notizie, contenute in registri e faldoni conservati in tanti diversi archivi sparsi qua e là per il Mediterraneo. Nell'introduzione al libro dice di averlo fatto perché “spinto da una grande passione per il mare”. È la stessa ragione, in effetti, per cui il libro mi ha calamitato: un'attrazione grande, anche se confusa e generica, che io stesso provo per il mare (e per l'estate). Mastrolia accenna alle spugne che si possono incrociare mentre si cammina sul mare e ricorda quando, da bambino, vedeva le spugne nei mercati di Lecce, ammassate sui banchi dei venditori, forse tunisini. La spugna esposta non era altro che lo scheletro corneo dell'animale, dal quale era stata rimossa tutta la parte vivente, attraverso la battitura e la macerazione nell'acqua di mare.
Nella seconda metà dell'Ottocento i più grandi banchi di spugne si trovavano concentrati in alcuni punti del Mediterraneo: nelle isole Sporadi meridionali, a qualche miglio di distanza da Lampedusa, nel mare di fronte a Tripoli e al porto di Sfax in Tunisia. Oggi quei banchi di spugne, che un tempo erano ricchissimi, si sono sostanzialmente esauriti. Nelle isole di Kalymnos e di Simi, in Grecia, abitavano i più abili e impavidi spugnari (o spongarioti) di tutto il Mediterraneo. I pescatori di spugne, poi rimpiazzati dai palombari, s'immergevano in apnea fino a enormi profondità.
Fra i pescatori di Simi viveva anche una celebrità, Yorgos Haggi Statti, da molti considerato il primo apneista della storia. Era diventato noto in Italia per aver consentito il recupero dell'ancora di una nave, la “Regina Margherita”, scendendo in apnea fino a settanta metri di profondità e restando in quella voragine per oltre tre minuti. Ma pare che Statti riuscisse a immergersi fino a cento metri di profondità. Disse che laggiù in fondo sentiva gravargli sulle spalle tutto il peso del mare. Era mezzo sordo e aveva quattro figli. In rete si trovano un paio di foto dove sembra una specie di detenuto ai lavori forzati. In realtà Haggi Statti posa mostrando fra le mani l'ingombro di uno strumento primordiale, antichissimo, la “skandalopetra”, una zavorra piatta di pietra utilizzata dagli spongarioti per avvicinarsi rapidamente ai fondali. Oggi l'immersione con la skandalopetra è diventata una disciplina sportiva.
La spugna accompagna la storia dell'uomo. Le spugne che acquistiamo nei supermercati e utilizziamo per lavare i piatti o i sanitari sono composte da fibra di cellulosa o polimeri plastici, ma il nome che gli abbiamo attribuito non è fibra di cellulosa o polimero plastico, ma spugna, tuttalpiù il diminutivo spugnetta, che rimanda, pur nella banalità e quotidianità dell'uso, a mondi e storie lontanissimi.
L'uso dello scheletro fibroso delle spugne risale all'antichità greco-romana. Lo testimoniano qua e là la letteratura dell'epoca, i vasi e gli affreschi. Grazie all'Iliade e all'Odissea sappiamo che le spugne venivano utilizzate per lucidare elmi e armature, ma anche più comunemente per pulire tavoli, pavimenti e altre superfici della casa. Così, quando puliamo il tavolo dopo pranzo riecheggia e si ripete in noi la banalità di un gesto compiuto per migliaia di anni da altri milioni di esseri umani. La banalità diventa in realtà un riflesso dell'eternità.
Mastrolia racconta che l'uso della spugna viene meno col declino del mondo greco-romano e riaffiora nell'Ottocento, specialmente nei paesi dove la rivoluzione industriale ha migliorato le condizioni di vita. Da una parte diventa un accessorio di lusso, dall'altra viene sfruttata industrialmente per l'applicazione in pitture, intonaci, vernici o nel campo della cosmesi e della medicina. Cambiano i sistemi di pesca e cambiano le imbarcazioni, mentre lo scafandro sostituisce inesorabilmente la tradizione degli spugnai e dell'immersione con la skandalopetra. La seconda parte del libro ricostruisce il quadro commerciale, giuridico e burocratico della pesca della spugna, che non di rado era condizionata dal conflitto fra imbarcazioni di diverse nazionalità, nella contesa di uno stesso banco di spugne.
Alla spugna dobbiamo anche una metafora, implicata nei termini spugnoso o spugnosità, che correntemente definiscono una caratteristica, una tensione, una qualità dell'intelligenza che assorbe, impara e assimila con naturalezza, quasi innatamente. Lo si dice spesso del cervello dei bambini nei primi anni di vita, quando “sono spugne” e “assorbono come spugne”. Nel doppio movimento della spugna, in quella contrazione e rilascio che la contraddistingue, in questo dare e avere, vediamo l'immagine vivente di una sorta di legge morale.
Per molto tempo si è discusso se la spugna fosse un vegetale o un animale e alla fine si è stabilito che fosse un animale.
Le spugne vivono pompando attraverso il corpo grandi volumi d'acqua, dai quali ottengono cibo filtrando organismi microscopici. Altro modo di dire: beve come una spugna. Attraverso la pesca della spugna possiamo conoscere anche un nuovo capitolo nella storia dell'ingegno umano, della furbizia umana: per individuare i banchi, molti pescatori si erano dotati di un particolare strumento cilindrico fornito di uno specchio, che consentiva di catturare l'immagine del banco sul fondale.
Al di là dei dati, delle informazioni e delle notizie storiche, ciò che mi ha emozionato del libro di Mastrolia, letto nei giorni passati in Salento, era una pura suggestione mentale, era l'immagine del corpo di Haggi Statti e degli altri pescatori di spugne che si espandeva nel mio cervello, mentre li immaginavo scivolare e addentrarsi nel blu, giorno dopo giorno, immersione per immersione, lungo una vita intera, sempre con quella pietra piatta ad accompagnarli.
Anche se svolgevano un mestiere primitivo e spossante, anche se avevano i timpani scoppiati, quel mestiere era pur sempre un avvitarsi nel Mediterraneo, e io, leggendo, invidiavo il privilegio della carezza fantasma dell'acqua sulle vertebre, così rapida ed evanescente, che si ripete a ogni tuffo e che cerco ogni estate.
Continuano le inondazioni nell’Europa centrale e orientale. In Austria, Repubblica Ceca, Ungheria, Romania e Slovacchia decine di migliaia di persone sono state evacuate dalle loro case. La tempesta “Boris” ha innescato le più gravi inondazioni nella regione da più di 20 anni.
Fino a lunedì si sono contate almeno 16 vittime e decine di dispersi.
In Polonia, dove in un ospedale sono stati evacuati i pazienti con un gommone, le vittime sono almeno 5. In Romania, 7.
In Austria – per ora – sono crollate 12 dighe e migliaia di famiglie sono rimaste senza elettricità e acqua.
In Repubblica Ceca circa 120.000 famiglie sono rimaste senza corrente.
Al momento dell’invio di questa newsletter, nell’aria danzano 422,01 ppm (parti per milione) di CO2.