PROFEZZA
di Nicolò Porcelluzzi. Ogni giorno il narcisismo non diagnosticato brucia tonnellate e tonnellate di anidride carbonica. Dalla preistoria alla AI, un’ode a chi non ci capisce niente.
Benvenuti, questo è il numero centottantotto di MEDUSA, una newsletter a cura di Matteo De Giuli e Nicolò Porcelluzzi – in collaborazione con Not.
MEDUSA parla di cambiamenti climatici e culturali, di nuove scoperte e vecchie idee. Ogni due mercoledì.
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In questo numero leggerete di corpi e anime, specchi e di brame, di ChatGPT e di psicosi, di David Foster Wallace e Kim Kardashian.
Come Sapiens abbiamo questo brutta fissa di immaginarci corpo e coscienza come qualcosa di separato. A tutte le latitudini e lignaggi incontriamo culti dei morti e miti di altri mondi, peggiori o migliori del nostro, dove l’anima staccata dallo stupido corpo può finalmente razzolare.
Poi abbiamo un altro tic. Pensiamo che quest’anima ce l’abbiano anche le cose, quelle che meritano il nostro amore, e diamo un nome alle biciclette, alle barche; oppure vediamo sorrisi nelle schiume, le lepri nelle nuvole: proiettiamo delle intenzioni sulle cose della natura (pietre, fiumi) e perfino su concetti e convenzioni, come il tempo. Al posto dei fenomeni, delle relazioni tra cause ed effetti, vediamo intenzioni.
La nostra intuizione preferisce le leggi sociali a quelle fisiche. Pascal Boyer, insieme ad altri ricercatori – Stewart Guthrie e Justin Barrett –, ha contribuito alla descrizione di quello che la scienza cognitiva della religione chiama “dispositivo iperattivo di rilevamento dell’azione di un agente” (Hyperactive Agency Detection Device, HADD).
Ovvero: “in termini di storia evolutiva, siamo organismi che devono sia difendersi dai predatori sia diventare noi stessi predatori. Se si cammina nel bosco, è più vantaggioso scambiare un bastone per un serpente o una roccia per un orso, piuttosto che il contrario”. Per fissare l’idea: ci capita di dare della vita agli oggetti, dapprima naturali e ormai artificiali, perché vogliamo prepararci al peggio. Sia da prede che da predatori è più utile vedere nell’ambiente circostante un eccesso di movimento rispetto a troppo poco.
Cerchiamo la vita dappertutto, ce la spalmiamo addosso; non riusciamo a tirare fuori le mani dal vasetto di miele. Ci portiamo dietro un dispositivo incarnato sempre pronto a rilevare segnali di vita, siano reali o fittizi. Ci immedesimiamo nell’incendio, ci immedesimiamo nel bosco: tutta la memetica regge su questi presupposti. Ci immedesimiamo nelle strisce di codice, vediamo l’anima dentro ChatGPT.
Qualche settimana fa abbiamo organizzato una serata di letture in un bar di Milano, lo facciamo da qualche anno. L’ultima era dedicata (anche) a Giucas Casella, l’illusionista di Termini Imerese che negli anni Ottanta e Novanta portava il pensiero magico nei palinsesti democristiani.
Ho dedicato allora due sonetti a Giucas Casella: uno l’ho fatto scrivere a ChatGPT (dopo diverse correzioni metriche e suggerimenti), l’altro io. Visti i risultati, per ora c’è ancora speranza per la poesia umana: anzi, l’umano nella poesia è irriducibile. Certo si possono scrivere le filastrocche, gli editori possono anche vendere poesie artificiali mentendo sull’origine, non è quello il punto: la poesia muore con l’essere umano, eccetera eccetera.
Però non c’è dubbio, la situazione è ben strana. Alla fine del secolo siamo nati in un altro mondo, cresciuti con certi miraggi, e per non uscirne dissociati tocca ricorrere a delle contorsioni: certi giorni mi sembra di avere più vent’anni dei ventenni, altri giorni mi sembra di averne ottanta. Perdo il passo.
Ogni anno nuove idee e ideologie, nuove tecnologie rivoluzionarie, e quando mi trovo a scriverne… intorno scende un silenzio, sembra che ci sia meno gente in giro. “Siamo negli anni della rivoluzione dell’intelligenza artificiale”, penso con la mia vocina gracile da ottantenne, guardando fuori dalla finestra. Sotto c’è il suono della lavatrice, lo sbatacchio dei tram sul viale, e dalla finestra non vedo persone. In queste fasi della storia sembra di sentire delle folate di vento spaventose, come quelle che danno il cambio alle stagioni.
Ma non è la fine del lavoro per tutti. È la fine del lavoro per chi non ha avuto la fortuna di entrare negli uffici dove si danno questi lavori, strisciando all’ultimo secondo, come Indiana Jones col cappellino. E tutti gli altri che fanno? Stanno a casa a guardare le serie e diventano ogni mese più poveri? Può essere.
L’altra sera mi serviva rileggere una scena ambientata in una cucina e mi è tornato in mente “L’altra parte”, un racconto incluso in La ragazza dai capelli strani. Se la tua data di nascita è successiva al 1994, o non ti interessi di letteratura: l’autore del racconto si chiama David Foster Wallace, e tra il 2008 e il 2015 sembrava non si potesse parlare di letteratura senza passare per il suo nome (ora le sue azioni sono forse al punto più basso di sempre per questioni che lo riguardano, gli abusi perpetrati sulla scrittrice Mary Karr, ma soprattutto altre che non lo riguardano, i cicli delle mode e la spocchia insostenibile di alcuni suoi lettori maschi).
Oltre alla lunga scena intorno a un forno smontato a pezzi, ho ritrovato questi due lunghi monologhi paralleli, di una lei che ha lasciato un lui, uno spocchioso insostenibile con tutti i difetti dei “maschi che studiano troppo”, di cui sopra; a un certo punto lei si lascia andare, si sfoga raccontando qualche esempio di quello che oggi si direbbe mansplaining.
Mi diceva che la vera poesia fra un po' non si farà più con le parole. Diceva che la bellezza glaciale della perfetta significazione dei simboli non verbali inventati dall'uomo e della loro relazione attraverso regole su cui ci si è messi d'accordo arriverà pian piano a rimpiazzare prima la forma e poi la materia della poesia. Dice che sta morendo un'epoca, e che lui ne sente il rantolo. Tutto questo ce l'ho scritto nelle lettere che mi ha mandato. Tutte le lettere le tengo in una scatola.
Dice che le unità poetiche che alludono ed evocano e chiamano a raccolta e sono variamente limitate dalla particolare esperienza e sensibilità dei singoli poeti e lettori cederanno il passo a simboli che al tempo stesso sono e rappresentano quello a cui si riferiscono; che sia il limite sia l'infinità del reale si possono esprimere meglio con assiomi, segni e funzioni. lo adoro Emily Dickinson. Gli rispondevo che non potevo dire di aver capito e non essere d'accordo, ma mi pareva che le sue idee sulla poesia avrebbero fatto sembrare la poesia qualcosa di freddo e triste. Gli dicevo che gran parte di quel reale a cui le poesie si riferivano, per me, mentre le leggevo, erano i sentimenti. Non potevo dire di esserne sicura, ma non credevo che i numeri e i sistemi e le funzioni potessero far provare dei sentimenti alla gente.
A volte, quando dicevo così, lui si dispiaceva per me e diceva che mi stavo facendo un'idea sbagliata del suo progetto, e giocherellava coi lobi delle mie orecchie. Ma a volte la sera andava su tutte le furie e diceva che ero soltanto una di quelle persone che hanno paura di tutte le cose nuove e inevitabili e credono che saranno nocive per l'umanità. Arrivava così vicino a darmi della cretina che quasi mi incazzavo anch'io. Non sono cretina. Ci ho messo solo tre anni a laurearmi. E non penso affatto che tutte le cose nuove e i cambiamenti siano nocivi per l'umanità.
Questo racconto è stato scritto quarant’anni fa e già mostra tutta l’arroganza degli evangelisti dell’AI, e la povertà intellettuale di buona parte del dibattito intorno all’AI.
Negli ultimi mesi stanno girando diversi articoli di costume intorno al nostro rapporto con gli strumenti LLM alla ChatGPT, Claude, eccetera. Anche se la tenuta deontologica non è stagna – spesso infatti si basano su una serie di esperienze aneddotiche e interviste interessate – è importante capire perché stanno uscendo, perché le redazioni ne vanno in cerca.
Su Rolling Stone USA è uscito un lungo articolo che documenta una serie di deliri spirituali e episodi psicotici scatenati dall’interazione con ChatGPT e altri modelli simili. Donne che divorziano perché il marito analizza al dettaglio la loro relazione attraverso l’AI; un uomo che viene convinto una volta per tutte, anche se ne aveva già il sospetto, di essere il nuovo messia; un meccanico che progetta macchinari per il teletrasporto su consiglio della chatbot, che lo ricopre d’amore; e poi altre centinaia di testimonianze emerse su Reddit, sotto a un post titolato “ChatGPT induced psychosis”.
Chi ha usato queste macchine, con le loro lusinghe e rinforzi positivi e adulazioni stucchevoli, lo sa: sembrano bambolotti progettati per gonfiare l’ego di chi ne ha bisogno.
Pochi giorni fa Amanda Ginzburg, scrittrice, ha pubblicato un pezzo composto degli screenshot di una conversazione tra lei e la macchina. Somigliano alla situazione in cui molti si sono trovati nel momento in cui avevano bisogno di fidarsi della macchina, un’illusione nella premessa. Chiedendo a ChatGPT di analizzare alcuni dei suoi articoli, la giornalista scopre messaggio dopo messaggio che la macchina mente, e poi mente ancora di nuovo, e intanto si scusa mentendo ancora. Le ha fornito dei riassunti inventati dei suoi pezzi, non li ha letti davvero, ma soprattutto non sa cosa significa mentire.
Non possiamo cercare nella macchina qualcosa che non c’è. Eppure si fa dappertutto nel mondo, ogni secondo.
La WPP è una multinazionale della pubblicità. È nata nel 1971 come Wire and Plastic Products – una azienda che produceva cestelli in fil di ferro e plastica – e oggi è il più grande gruppo nel settore per fatturato. Non è un’agenzia, è l’Unilever delle agenzie. Insieme ad altri quattro grandi gruppi riassume praticamente la totalità dell’economia dell’industria pubblicitaria. Questi cinque gruppi stanno sviluppando i loro modelli di Intelligenza Artificiale. Quello di WPP si chiama Open.
In un suo post su LinkedIn Zoe Scaman – scopro che è una via di mezzo tra una pubblicitaria e una futurologa leggendaria, con enorme seguito devotissimo, Ridley Scott compreso – profetizza che in un settore dove l’oligopolio delle proprietà e l’efficienza mostruosa delle nuove macchine “ruoli come il performance marketing, la pianificazione dei media, il copywriting di medio livello e la creatività, saranno ridotti all'osso. Stiamo parlando del minimo investimento possibile. Saranno ottimizzati fino a ridurli all’oblio".
Alcune caratteristiche di Open:
– Focus group sintetici che forniscono feedback in tempo reale
– AI addestrata per mantenere il tono e le immagini in linea con le caratteristiche del marchio
– 13.000 variazioni creative, ognuna valutata in base alle prestazioni
– Rendering ibrido con scatti 3D dei prodotti + sfondi IA
Eccetera. Mi fermo al primo punto, focus group sintetici che forniscono feedback in tempo reale. Per spiegarci in italiano: i focus group sono delle persone comuni buttate in qualche sala riunione per dare dei riscontri sui prodotti o servizi di un’azienda. Per restare in zona Wallace, uno dei suoi racconti più noti e macchinosi raccontava proprio l’organizzazione di uno strano attentato/campagna di marketing in un grattacielo dove si consumava un lungo focus group intorno al destino di alcuni prodotti dolciari di un brand chiamato Mr Squishy.
I focus group nell’ultimo decennio sono stati affiancati, anche se non ancora sostituiti, dall’analisi dei social network. Nella presentazione di Open, l’AI di WPP, il Chief Technology Officer Stephan Pretorius racconta con entusiasmo e zelo la possibilità di creare dei focus group appunto sintetici, virtuali, per esempio di “consumatori eco-consapevoli della Gen Z” su cui testare un fantomatico marchio di bellezza sostenibile.
Siamo all’idiozia totale. Le persone più ricche e potenti al mondo non hanno letto Wittgenstein, ma mi fermerei anche prima: sembrano non capire la differenza tra una domanda e una risposta. Tra una ricerca e un esito inaspettato. Tra un bastone e un serpente.
Non sanno niente oltre a quello che sanno, e lo scambiano per tutto.
Più che delle macchine intelligenti, stiamo costruendo dei complessissimi specchi che prendono la forma dei pregiudizi di cui abbiamo bisogno per sopravvivere, come aziende e come esseri umani: è un problema grave. Dopo avere distrutto il significato sociale del lavoro, ora rischia di venire distrutta la fiducia tra gli esseri umani, e con questa intendo l’intenzione e la capacità di ascoltarsi. Di scoprire qualcosa che non sai di non sapere.
Poi arriverà la persona che si occupa di filosofia pop che troverà un nome per questo fenomeno, ci scriverà un libro sopra, venderà 7.843 copie e per qualche mese ci sembrerà di avere risolto il problema; qualche anno dopo ci troveremo in un altro giro della spirale, ancora più stretto e asfissiante. Il filosofo pop lo chiamerà l’età della Profezza, dove il mondo è nelle mani di chi confonde la profezia con la solita schifezza.
Il 26 giugno 2025 è una data importante nella storia della giustizia ambientale italiana: la Corte d’Assise di Vicenza ha pronunciato il verdetto su uno dei più gravi casi di inquinamento industriale della storia.
Tutto è iniziato nel 2013, da uno studio del CNR e del Ministero dell'Ambiente che ha rivelato una presenza significativa di sostanze perfluoroalchiliche (PFAS) nelle acque superficiali e sotterranee in più di 300 comuni di Vicenza, Padova e Verona.
La Corte d’Assise di Vicenza ha condannato 11 manager con pene da 2 anni e 8 mesi fino a 17 anni e mezzo per avvelenamento delle acque, disastro ambientale e bancarotta fraudolenta. Un totale di 141 anni di carcere.
I dirigenti sono stati ritenuti responsabili di avere contaminato l’acqua potabile di oltre 350.000 cittadini.
La Corte ha stabilito risarcimenti per oltre 300 parti civili, riconoscendo 58 milioni di euro al solo ministero dell'Ambiente per i danni ambientali causati dall’inquinamento.
Al momento dell’invio di questa newsletter, nell’aria danzano 428,22 ppm (parti per milione) di CO2.
Ma che è sta profezza?