PORCILE
di Matteo De Giuli. In questo numero leggerete di scrittori argentini e giorni della settimana, di eroi e tombe, di gotico metafisico e lapsus misteriosi.
Benvenuti, questo è il numero centosessantacinque di MEDUSA, una newsletter a cura di Matteo De Giuli e Nicolò Porcelluzzi – in collaborazione con Not.
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In questo numero leggerete di scrittori argentini e giorni della settimana, di eroi e tombe, di gotico metafisico e lapsus misteriosi.
Gli amici di Ragù Podcast mi hanno invitato a Baedeker, una serie di incontri letterari che, assieme alla Libreria Trastevere e a Paola Moretti, stanno organizzando quest’estate, al Torrione, a Roma. La serata di ieri era dedicata all’America Latina: Paola Soriga ha raccontato Pilar Quintana, Giacomo Ferrara Roberto Bolaño, io Ernesto Sabato.
Riordino qui, meglio che posso, gli appunti del discorso.
Durante i primi anni dell'università, quando era ora di scegliere il proprio scrittore preferito e abbandonare le solite letture scolastiche, io, almeno per un periodo, scelsi Ernesto Sabato.
A me, in realtà, già piaceva Bolaño. Ma Bolaño piaceva a tutti. Così senza allontanarmi troppo rimasi in America Latina e scoprii Sabato. Decisi che sarebbe stato lui, prima ancora di leggerlo.
Sabato mi incuriosiva per varie ragioni: prima di tutto non era stato un genio precoce. Aveva iniziato a scrivere tardi. E questo mi piaceva, mi consolava la possibilità di poter diventare bravo anche io, e con calma, perché diventare scrittori era una cosa che si poteva fare evidentemente senza fretta. (Credersi grande di una grandezza latente è un modo comodo di vivere, lo diceva Svevo).
Poi: Sabato, prima di diventare uno scrittore canonizzato, era stato anche un brillante fisico teorico, per molti anni. E io ero iscritto a Fisica, in quel momento. Prendendo Sabato come modello mi potevo illudere che non fosse impossibile contenere moltitudini, studiare da scienziato e scrivere romanzi. (Io però per la Fisica non ero granché portato). Infine Ernesto Sabato era stato anche una figura politica importante in Argentina. Non era stato un banale scrittore impegnato, non era uno di quelli che scrivono allegorie indignate, magari, o cose del genere. Piuttosto, era riuscito a scindere le due cose: era stato uno scrittore vero, consacrato alla letteratura, uno di quelli che nei suoi libri rispondeva solo all'arte e a nient'altro e poi – parallelamente – così come era stato un fisico, era stato anche un uomo politico. Aveva presieduto la commissione sui desaparecidos argentini, era stato un anarchico, era stato un comunista, e poi, stufo di tutto, era diventato un pensatore ribelle, difficilmente inquadrabile.
Quindi scelsi Ernesto Sabato.
E per fortuna me ne innamorai.
Ora, quello che vorrei fare qui in dieci minuti è cercare di mostrare come scriveva Sabato.
Sabato era uno scrittore tenebroso, nevrotico, angosciante. Leggere Sabato è come leggere Lovecraft, o Edgar Allan Poe… Al tempo stesso quello di Sabato però è un gotico metafisico, un gotico latino. Orrore e incanto, magia bianca e nera insieme.
Sabato era un pessimista severo. Che il mondo sia orribile è una verità che non necessita dimostrazioni, dice il protagonista di Il Tunnel, il suo primo romanzo. Ma Sabato aveva anche una solida fede nella letteratura. La letteratura come unica vera indagine per le passioni, gli amori, le follie, le cose orribili del mondo, i lati più sotterranei, inconoscibili e inconsci della nostra vita terrena.
Come scriveva?
Partiamo dal suo esordio. Il tunnel è la storia di un tormento amoroso. Un pittore di buon successo si innamora di una donna sposata, Maria. Lei pure si innamora di lui, ma è una relazione che oggi definiremmo tossica. Si nutrono delle reciproche frustrazioni, lui odia lei per colpe che lei non ha e, dopo lunghe agonie minori, strappi e nuove promesse, lui la uccide. Il tunnel è la confessione dell’assassino.
Dopo un resoconto dal linguaggio diretto, adrenalinico, Sabato fa detonare il suo personaggio. Lui e lei si danno appuntamento, e mentre lui l’aspetta, gli viene, forse per la prima volta, un dubbio rovinoso: e se tutta questa passione fosse solo nella mia mente?
Sono pagine alla Dostoevskij, verrebbe da dire. Se non fosse che in realtà sono pagine proprio alla Sabato.
Sabato visse quasi cento anni e scrisse solo tre romanzi: Il tunnel, Sopra eroi e tombe e L'angelo dell'abisso. Vennero pubblicati nel ‘48, nel ‘61 e nel ‘74 – quindi con due lunghe pause di 13 anni tra uno e l'altro, e forse, visto che Sabato era stato un fisico, questa numerologia non è solo un caso. Chissà che significato gli dava lui.
Di sicuro non sono tre libri separati: sono opere che si parlano, che insieme compongono una trilogia. Ci sono frammenti di questi testi che come correnti si interrano e che poi riemergono in un altro libro, ci sono ossessioni e personaggi che tornano, traiettorie che vengono sospese e poi riprese.
D’altra parte l’idea che Sabato aveva era un’idea romantica di romanzo: il romanzo come discorso in cui dentro ci sta tutto.
Sopra eroi e tombe è a sua volta un racconto d’amore un po’ stregonesco ed è anche, in parallelo, un intreccio familiare atavico e oscuro. E in più è un libro che contiene un altro libro. A un certo punto, a metà, la storia si interrompe e parte un trattato filosofico, visionario, delirante. Si chiama “Rapporto sui ciechi”, ed è il diario di uno dei personaggi del romanzo che è convinto che il mondo sia segretamente governato dalla loggia dei ciechi. I non vedenti sarebbero cioè una setta impenetrabile, violenta, che tira le fila dell’esistenza di tutti gli altri esseri umani.
Quando si parla di paranoia in letteratura viene sempre da citare Dick. O Kafka. Bisognerebbe, anche qui, aggiungere Sabato.
Per rendere più credibile il delirio allucinatorio del suo personaggio (i ciechi governano il mondo!), Sabato punteggia il discorso con ipotesi di complotto minori, abbracciabili da tutti. Indica e svela le assurdità della vita quotidiana. Tipo avere dei fogli sporchi di carta in tasca che ti dicono cosa puoi permetterti di mangiare, e quanto vali.
L’ultimo libro di Sabato, L’angelo dell’abisso, è un testo sperimentale. Metanarrativo. È un libro poderoso fatto di frammenti, poesie, divagazioni, di nuove allucinazioni e teorie filosofiche. A volte è impenetrabile. Eppure credo si possa leggere anche senza stress, senza mal di testa. Si può aprire a caso e pescare una pagina, un frammento. Si trovano così dei momenti perfetti.
Come questo paragrafo, ed è l’ultimo che leggo, in cui Sabato, che qui è anche uno dei personaggi del libro, cerca di far desistere un giovane scrittore dal diventare scrittore. Mi sembra che riassuma bene tutte le contraddizioni di Sabato, la sospensione tra trascendenza e finitezza, tra cecità e lucidità. E mostri anche la sua fede nella letteratura, che gli permetteva di conciliare il più cupo pessimismo a uno slancio sublime.
Nessuno potrà garantirti il futuro, un futuro che in ogni caso sarà triste: se fallisci, perché il fallimento, sempre penoso, per l’artista è una vera tragedia; se hai successo, perché il successo è qualcosa di volgare, una somma di malintesi, un palpeggiamento; diventi quella schifezza che prende il nome di uomo pubblico, e a buon diritto (a buon diritto?) un ragazzo, come sei stato tu stesso un tempo, potrà sputarti in faccia. E così dovrai sopportare anche questa ingiustizia, piegare la schiena e continuare a produrre la tua opera, come qualcuno che erige una statua in un porcile.
Prima di lasciarvi alla CABALA, un breve annuncio felice: il 21 e il 22 settembre, a Milano, all’EastRiver, arriva la terza edizione di 2084, il festival che curiamo con Marco Rossari, grazie al coordinamento di Francesca Cristoffanini e alla Scuola di scrittura Belleville.
Anche quest’anno ci sono ospiti internazionali, scrittrici e scrittori che ammiriamo, e che siamo felici di ascoltare. Nei prossimi giorni e nelle prossime settimane daremo tutte le informazioni necessarie “via social”, e dopo le vacanze, anche qui su MEDUSA.
Nel numero centosessantadue di MEDUSA abbiamo scritto, per errore: “questo è il numero centocinquantanove di MEDUSA”. Chissà perché.
Nel numero centosessantatré allora ci siamo corretti: “questo è il numero centosessantatré (nell’ultima edizione avevamo sbagliato i conti, scusate)”, abbiamo scritto.
Eppure, nel numero centosessantaquattro, abbiamo deciso di sbagliare di nuovo: “questo è il numero centosessantacinque”, abbiamo scritto. E abbiamo aggiunto pure: "nell’ultima edizione avevamo sbagliato i conti, scusate". Ma non erano sbagliati.
Su Substack abbiamo corretto tutto però. Grazie della pazienza. Questo è il numero centosessantacinque di MEDUSA. O è molto probabile che lo sia.
Al momento dell’invio di questa newsletter, nell’aria danzano 424,68 ppm (parti per milione) di CO2.