OPPORTUNITÀ
di Beatrice Citterio. Cosa resterà di Milano Cortina 2026? Come cambieranno i nostri territori? Un osservatorio critico sulle insostenibili Olimpiadi invernali.
Benvenuti, questo è il numero centottantaquattro di MEDUSA, una newsletter a cura di Matteo De Giuli e Nicolò Porcelluzzi – in collaborazione con Not.
MEDUSA parla di cambiamenti climatici e culturali, di nuove scoperte e vecchie idee. Ogni due mercoledì.
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Oggi siamo felici di ospitare un pezzo di Beatrice Citterio, ricercatrice in trasformazioni territoriali all’università di Bolzano e curatrice del progetto Giochi Preziosi – Osservatorio Critico sulle Olimpiadi Invernali Milano Cortina 2026 che potete acquistare qui.
In chiusura l’unica certezza: i numeri della CABALA.
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In questo numero leggerete di poteri e tangenzialine, di Alto Adige e Milano, di sostenibilità e urgenze, di opportunità imperdibili e occasioni ormai perse.
Quando quattro anni fa mi sono trasferita a Bolzano la mia percezione della montagna e dei miei interessi è cambiata radicalmente. Dopo vent’anni a Milano, dove andare in montagna era riservato ai weekend e alle feste, mi ero trovata a vivere i primi due mesi della quarantena a Cogne, in Valle d’Aosta. Tra un decreto e l’altro, proprio in quel periodo mi ero candidata per un master a Bolzano: mi stavo laureando in design del prodotto al Politecnico di Milano, ma gli ideali che fin lì avevo perseguito non mi dicevano più niente.
Volevo prendere una strada che mi facesse uscire dal sistema sociale, economico e professionale della grande città, per capire e sperimentare una quotidianità diversa. Una volta a Bolzano – con la pandemia che andava e veniva e la provincia Autonoma che sembrava aprire quando l’Italia chiudeva e viceversa – ho iniziato a vivere e conoscere quel che mi stava attorno. La sorpresa più grande è stata scoprire l’alternanza delle affluenze estive e invernali. In altre parole: il turismo di montagna.
Ho assistito alle grandi masse estive e all’insostenibilità dell’impero dello sci da discesa, che con un’affluenza densa e un utilizzo intenso di risorse per l’innevamento artificiale stravolge i servizi di base delle località alpine. Autostrade e treni pieni, stazioni infrequentabili, racchette, fascette, caschetti, sci in spalla e borsoni, continue richieste di informazioni in tante lingue diverse – soprattutto tedesco – mentre io parlavo solo italiano e inglese. Weekend e festività gremite e giorni feriali scarichi. Ho vissuto l’iperturismo dei simboli: il Lago di Carezza, le Tre Cime di Lavaredo, il Lago di Braies, Plan de Corones, l’Alpe di Siusi, e così via.
Contemporaneamente sperimentavo il bilinguismo e l’autonomia provinciale, e come quel territorio fosse così visceralmente differente dalle regioni montane a cui ero abituata sia per fortuna economica che per storia e cultura locale. La Valle d’Aosta, il Piemonte e la Lombardia ospitano tante località alpine nevralgiche ed economicamente ricche – ma per la gran parte si compongono di valli e fondovalli in cui lo sci non è mai arrivato o non ha avuto la pervasività che incarnano ora i 1200 km di piste di Dolomiti Superski, né godono dell’ideale estetico con cui vengono promossi i territori Dolomitici.
Da una parte quindi costruivo la mia visione di una provincia troppo spesso idealizzata ma poco conosciuta dal resto dell’Italia – e per questo bombardata di stereotipi – dall’altra, quando tornavo a Milano, dovevo fare i conti con chi a gamba tesa, tra una birra e l’altra, mi chiedeva Ma allora? È vero che non vogliono essere Italiani? Per farla breve, insomma, mi sono impelagata un po’ nelle diatribe provinciali e regionali e grazie anche alle tematiche affrontate all’università – un mix tra ecologia, sociologia, politica, geografia e design – ho conosciuto meglio il posto in cui vivevo.
Le meraviglie erano evidenti, quindi mi sono concentrata sul resto. Se a prima vista gli impianti sciistici, le infrastrutture ricettive turistiche e i centri sempre più urbani alle pendici delle dolomiti sembravano paradisi naturali, a occhi più critici rivelavano un intenso lavoro di modifica e trasformazione territoriale: spianamenti, disboscamenti e opere di contenimento dei versanti montani si affiancavano sinergicamente ad un meticoloso sistema di sfruttamento di risorse naturali, idriche ed elettriche sia per fini sciistici che per garantire i servizi nelle case e negli hotel durante gli orari di punta dell’alta stagione. Le culture, o meglio – le monoculture – di mele ed uva, grandi protagoniste delle promozione territoriale locale, si rivelavano coltivazioni intensive con utilizzo massiccio di chimici e pesticidi, su cui pendevano un numero infinito di cause legali. Infine, la gestione delle risorse naturali e dei versanti, insieme alla macro tematica della gestione del territorio e dei fondi della Provincia, rimandava irrimediabilmente agli interessi politici e alle lobby del turismo e dello sci.
Passò qualche semestre e mi trovai a scrivere una tesi dal titolo “Spazi Liminali” sulla monocultura dello sci, su come sia oramai anacronistico ma ancora frequente investire centinaia di milioni di euro delle casse pubbliche a sostegno dell’industria della neve, e su come il massiccio intervento umano per rendere sciabili – e quindi innevabili – i versanti montani abbia gravi conseguenze sull’equilibrio ecosistemico locale. I due anni a Bolzano sono diventati tre, e quando ho dovuto chiudere la tesi mi mancava un elemento indispensabile alla ricerca, ovvero: come comunico tutta questa roba?
Sempre nello stesso periodo – in vista di un viaggio che dovevo fare, e non avendo mai avuto una macchina fotografica – discutevo con le mie amiche su quale fosse la migliore da chiedere in affitto in università. Vivien, una di loro, mi ha guardata e mi ha detto Take mine! I don’t need it. Alla fin della fiera, povera Vivien, la sua macchina è rimasta nel mio zaino per sei mesi. Prima in viaggio, poi per le valli dell’Alto Adige, in lungo e in largo, in alta e bassa valle – mi inerpicavo sui versanti sciolti delle piste, sui sentieri deserti della bassa stagione e nei paesini disabitati dei centri turistici.
Ne è nato un progetto fotografico che poi è stato parte del risultato della mia tesi di laurea magistrale, e che mi ha introdotto all’utilizzo della fotografia come metodo di comunicazione e documentazione. Vivien ha rivisto la sua macchina fotografica e i miei genitori, come regalo di laurea, me ne hanno regalata una identica.
Se io mi laureavo nel 2023, le Olimpiadi Invernali erano state assegnate a Milano e Cortina già nel 2019. Nel periodo in cui scrivevo la tesi – quindi – a rilento e in grande ritardo la macchina olimpica italiana iniziava a decretare le opere necessarie allo svolgimento dei Giochi 2026 a Milano e in Valtellina (Lombardia), in Val di Fiemme (Trentino), in Val Pusteria (Alto Adige), nella Valle del Boite (dove sorge Cortina d’Ampezzo, in Veneto), e altri interventi sparsi qua e là, facendo idealisticamente fede a un dossier di candidatura dove si prometteva tantissimo: attenzione alle comunità locali, mobilità sostenibile, l’utilizzo di strutture già esistenti, e così via. Le prime olimpiadi “distribuite” su 3 regioni diverse. Le prime olimpiadi sostenibili. Un’opportunità imperdibile per il Paese.
All’assemblea “Giochi Pericolosi” organizzata in Statale il 19 novembre 2022 dal laboratorio politico e di ricerca OffTopic, risultava già chiaro che sostenibili non fosse il termine corretto, ma un abuso linguistico a fini mediatici. Se in fase di candidatura infatti si promettevano Olimpiadi a costo zero, con un investimento di poco più di un miliardo di euro volto principalmente alla sistemazione e all’adeguamento agli standard olimpici di opere pre-esistenti, ad oggi i costi totali si aggirano intorno ai 5,7 miliardi di euro (pubblici).
Di questi 1,6 miliardi per la realizzazione diretta dei giochi (stadi, piste, impianti, villaggi olimpici...) e ben 4,1 miliardi per opere indirettamente ad essi connesse (strade, ponti, svincoli, tunnel...). La fonte è Open Polis, che riporta i primi importanti risultati della campagna di monitoraggio civico Open Olympics – iniziativa nata da Libera Contro le Mafie in collaborazione con tantissime associazioni regionali e nazionali in risposta alla totale mancanza di trasparenza su dati e progetti del pacchetto Olimpico da parte delle istituzioni competenti.
Vi basti sapere che in seguito all’attività di Open Olympics, Simico s.p.a. (Società Infrastrutture Milano Cortina, incaricata della realizzazione delle Opere Olimpiche), punzecchiata nell’orgoglio dal movimento anti-corruzione, ha deciso di pubblicare sul proprio sito una pagina intitolata “Open Milano Cortina 2026” – descritta come la prima piattaforma trasparente sulle olimpiadi – dove riporta lo stato di avanzamento delle 94 opere contenute del piano dei lavori olimpici. Questo lavoro minimo non era ovviamente il tipo di trasparenza richiesta – era anzi un esercizio che poteva fare chiunque. Ad esempio, l’avevo già fatto io.
La trasparenza richiesta dalle associazioni civiche riguardava questioni ben più ampie e basilari: le valutazioni ambientali e sociali, tempi di consultazione pubblica adeguati, confronti con le popolazioni residenti e altre iniziative necessarie ad una progettazione realmente co-partecipata. Tutte cose che – nonostante le promesse – l’urgenza di una pianificazione come quella olimpica comprime, accelera, e notoriamente dimentica.
In questo contesto fatto di dati, report, dossier e decreti, insomma, iniziava a costituirsi il mio progetto. Cercavo un modo semplice per riuscire a parlare di tanti temi trasversalmente, interpretare report e dossier che mi avevano tolto il sonno e farne un documento di facile lettura, ma che non ne sminuisse la complessità. Volevo trattare del rapporto città–montagna evitando banalità e soprattutto sottolineando le problematiche trasversali che accomunano queste due realtà apparentemente così lontane: impoverimento ed esclusione sociale e culturale, gentrificazione, sviluppo economico verticale, accentramento dei poteri decisionali... In questo, la partecipazione a mobilitazioni locali, assemblee di valle, riunioni informali e conferenze ufficiali mi ha aiutato molto, poiché ha arricchito enormemente il mio bagaglio informativo, civico e relazionale, dando facce e nomi a quei dati e orientando i miei spostamenti tra i territori coinvolti, che – essendo ovviamente molto distanti tra loro – hanno richiesto un’intensa pianificazione logistica.
Ho lentamente dato il via alla mia ricerca: da Milano e Bolzano ho raggiunto Cortina d’Ampezzo e la Valle del Boite, percorso la SS51 del Cadore, la SS52, la SS49 della Val Pusteria passando per Rasun-Anterselva, attraversato la Val di Sole fino alla Valtellina passando per il Tonale, Ponte di Legno, Edolo e poi Bormio, Livigno, Sondrio e la bassa valle, rastrellato Milano in lungo e in largo in bici, con i mezzi pubblici, in macchina. Quasi tutti territori già densamente frequentati, gentrificati, maledetti dal traffico stagionale, e in cui la Fondazione Milano Cortina e le autorità locali promettevano di portare più turismo, più affluenza. Paradossale.
Ogni luogo andava compreso e approfondito per capire in che contesto le Olimpiadi si inserissero: le mobilitazioni locali – al di là del sentimento condiviso di protesta e partecipazione – sono state una grande occasione per farlo. Se quindi tra il 2023 e il 2024 attraversavo alcuni territori per la prima volta, nel corso dei mesi seguenti li ho ripercorsi due, tre, quattro volte, con fini diversi ma sempre con un occhio attento ai cambiamenti e con la macchina fotografica in mano. Con il bagaglio conoscitivo accumulato in quei mesi, insieme a POW Protect Our Winters Italia abbiamo organizzato due giornate di confronto con gli stakeholder locali (o meglio, con quelli che ci hanno risposto) di Rasun-Alterselva (BZ) e di Cortina d’Ampezzo (BL), per capire cosa fosse andato bene, cosa male, e che tipo di confronto ci fosse stato tra istituzioni e popolazione permanente: in entrambi i casi, il confronto non era mai avvenuto.
In Valtellina, grazie a giornate di informazione, discussione e protesta organizzate dagli enti locali, è emersa la stessa problematica: ciò che veniva deciso al Palazzo della Regione Lombardia a Milano giungeva a Sondrio e diventava realtà — o viceversa — senza mai passare dalla popolazione residente né dai comuni più piccoli. Tra i progetti, spiccano tuttora il cavalcavia del Trippi a Montagna in Valtellina e la tangenzialina nella piana dell’Alute, a Bormio. Contro entrambi si son organizzati comitati di residenti, politici e stakeholder locali, per denunciarne l’inutilità e l’eccessivo costo, e per chiedere decisioni più risolutive. Entrambe vengono fatte passare come opere indispensabili e strategiche allo smaltimento del traffico turistico, quando in realtà sposterebbero solamente il problema 200 metri più avanti al costo di circa 64 milioni di euro.
Inutile dire che anche se c’è chi critica i provvedimenti legati alle Olimpiadi, in tant* sono favorevoli o semplicemente non si espongono: la promessa di nuovi lavori, soldi e investimenti attira. Ma il piano olimpico è davvero progettato sul lungo termine e su vantaggi per tutt*? Al di là degli schieramenti, un elemento ricorrente tra tante destinazioni olimpiche è la sistematica soppressione di ogni tentativo di referendum o confronto pubblico con le autorità riguardo alla partecipazione stessa all’evento olimpico. Modus operandi caratteristico di chi ha a cuore la comunità, lo sviluppo sostenibile e lo sport.
Intanto, mentre grandi promesse e grandi investimenti venivano sbandierati sui giornali locali e nazionali – a novembre 2024 usciva la prima edizione di Giochi Preziosi, un editoriale di 40 pagine autopubblicato in formato tabloid che racconta per immagini quel che vi sto raccontando. Qualche mese dopo veniva approvato definitivamente il nuovo Decreto Sicurezza, con il quale – tra le altre cose – si sanciscono pene più dure per chi protesta fisicamente contro la realizzazione di opere pubbliche strategiche.
Ad oggi, molte informazioni fondamentali sulla gestione dei Giochi non sono ancora state comunicate: chi potrà spostarsi nei territori coinvolti? Chi potrà lavorare? Quali strade saranno pronte e quali no? Bambin* e ragazz* dovranno davvero affrontare settimane di didattica a distanza come riportano alcune soffiate dei giornali? Restano poi senza risposta le questioni legate alla gestione economica e sociale della legacy post-giochi: chi si farà carico, anno dopo anno, della manutenzione delle nuove infrastrutture? Ma soprattutto – e questo forse è il punto di domanda più critico – in un momento storico in cui è risaputo che il sistema sciistico montano sia in crisi, in che modo una legacy olimpica fondata su sviluppo stradale, infrastrutturale e sciistico, che punta ai grandi numeri, agli affitti brevi e alle presenze internazionali, influenzerà la capacità di questi territori di adattarsi a cambiamenti climatici sempre più urgenti? Viene da pensare che non si facciano le infrastrutture per i Giochi, ma che i Giochi si facciano per le infrastrutture, e che queste non siano supportate né da un piano a lungo termine né dal volere popolare, quanto dalla frenesia del cemento, del “si è sempre fatto così” e del “meglio un uovo oggi”. La gallina arriverà mai?
Il progetto fotografico ed editoriale nato attorno a Giochi Preziosi è in evoluzione, e punta a superare febbraio e marzo 2026. Andrà a sviscerare il dopo: la chiusura, lo smaltimento e la riorganizzazione o rinaturalizzazione dei territori, l’impatto reale sui territori e le sue modalità di comunicazione. Se la fotografia ha un potere descrittivo e didascalico forte, quel che mi intriga sempre di più è come mi porti a scavare dentro alle cose, a conoscere e informarmi, sia mentre scatto che dopo. Mi costringe a contestualizzare quel che vedo perchè mi obbliga a guardare in un quadratino: cosa c’è in quel quadratino? E che tipo di rapporto ha con il tutto? Stratificando quadratini, immagini, ritagli, articoli ed esperienze, si costruisce poi una storia nel tempo. Così è nato Giochi Preziosi e sta lentamente nascendo Giochi Preziosi 2, e – chissà – magari, per stratificazione, nascerà anche Giochi Preziosi 3.
Intanto stiamo a vedere ciò che resterà di Milano Cortina 2026, come cambieranno i nostri territori e in che modo questi anni influenzeranno il nostro futuro e quello delle tante valli coinvolte. Io sarò li a guardare, quadratino dopo quadratino, giornale dopo giornale. Vi ricordate quando poco fa vi parlavo dei Giochi in quanto opportunità imperdibile per il Paese? Ecco, forse ce la siamo già fatta scappare, ma per quanto spesso invisibile perché spalmato nel tempo, questo è un processo che impatterà enormemente ma silenziosamente le nostre vite presenti e future. Un processo cui dobbiamo continuare a scontrarci, e per questo dobbiamo conoscere e raccontare.
Trovate altre considerazioni su questi temi sul mio profilo instagram. Vi segnalo anche alcuni dei comitati e delle associaizoni di valle e di città attive nel discorso olimpico.
Voci di Bormio e Comitato Bormini per l’Alute (Bormio, Lombardia)
Comitato Salviamo il Lago Bianco (Passo Gavia, tra Valtellina e Val Camonica, Lombardia)
Piattaforma Pro Pustertal (Val Pusteria, Alto Adige)
Voci di Cortina e Cortina Bene Comune (Cortina d’Ampezzo, Veneto)
No Variante di San Vito di Cadore (San Vito di Cadore, Veneto)
Collettivo Perestroijka (Sondrio)
POW Protect Our Winters Italy (transregionale)
Rete Solidale Ci Siamo (Milano, Lombardia)
APE Milano – Associazione Proletari Escursionisti (Milano, Lombardia)
CIO – Comitato Insostenibili Olimpaidi (Milano, Lombardia)
Nel 2024 sono stati uccisi nel mondo 124 tra giornalisti e operatori dell’informazione (la stime potrebbe essere al ribasso).
È il più alto numero di vittime da quando il Comitato per la protezione dei giornalisti (CPJ) ha iniziato a raccogliere i dati negli anni Ottanta.
Circa il 70% delle vittime è stato ucciso dall'esercito israeliano.
82 delle vittime erano giornalisti palestinesi uccisi a Gaza.
Al momento dell’invio di questa newsletter, nell’aria danzano 430,60 ppm (parti per milione) di CO2.