NOCCIOLI
di Nicolò Porcelluzzi. In questo numero leggerete di novelle dimenticate e invenzioni virtuali, di cani randagi e copricapi magici, di incontri e scomparse.
Benvenuti, questo è il numero centosessantasei di MEDUSA, una newsletter a cura di Matteo De Giuli e Nicolò Porcelluzzi – in collaborazione con Not.
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In questo numero leggerete di novelle dimenticate e invenzioni virtuali, di cani randagi e copricapi magici, di incontri e scomparse.
Nella casa di una volta ho trovato dei vecchi temi, uno si intitolava: Parla di un avvenimento spiacevole che preferiresti dimenticare. Oggi si darebbe a scuola? Vabè. Mi è rimasta però attaccata la voglia di iniziare questa Medusa così:
Tema
La piccola borghesia ha diritto a conoscere le sue origini? Chi ne ha diritto?
Svolgimento
Il Mesolitico è una parentesi preistorica che avevo sottovalutato fino alla lettura di un saggio archeologico dedicato a una donna morta novemila anni fa.
Non è agli albori dell’agricoltura infatti, ma già nel Mesolitico che si iniziano a programmare i tempi naturali. Si piantano noccioli, sapendo che frutteranno dopo quindici, vent’anni.
Quando sono nato, mio nonno ha piantato un nocciolo. Non so che giorno fosse, né se l’albero sia ancora vivo, e dove. Non riuscirei a trovarlo neanche dopo tre anni di scienze forestali. Non ricordo, direi anzi non conosco il nome del padre che gli passò il pezzetto di terra, né quello del padre al quadrato, sempre siano stati loro. Ecco il solito piantino della piccola borghesia, le umidissime radici contadine, eccola offrire le sue immagini lacrimevoli: quale migliore metafora di un albero genealogico disperso?
La piccola borghesia è il tonto del paese, non lascia tracce. Questo tema in realtà vorrebbe parlare di Franco Lucentini che in una sua novella è riuscito a spiegare le origini dell’universo e della coscienza raccontando le vicende di un tonto nella Roma del dopoguerra che tutti chiamano il Professore.
Protagonista di Notizie degli scavi, il Professore per vivere fa tutto quello che gli viene chiesto dalla proprietaria di una piccola casa chiusa, illegale solo da qualche anno; lava i piatti, fa tutte le commissioni del caso, accompagna le ragazze a Villa Adriana dove si allontanano nel fitto degli alberi, dove possono esercitare la loro professione. La domenica, per entrare nel sito, non serve il biglietto.
Camminavo davanti a una fontana lunga senz’acqua, sotto un muraglione che nel libretto diceva che era, ma poi diceva che l’identificazione era inaccettabile, essendo che era molto più grande e la forma nemmeno corrispondeva. Diceva che insomma, veramente che era, non si sapeva. […] Dopo era più tardi. Ero andato a una zona dove spiegava che lì avevano parzialmente ricostruito coi frammenti rinvenuti sul fondo della vasca, essendo che pure lì c’era una vasca, e poi per una scala che portava di sopra alla tenuta Bulgarini. Siccome poi lì sopra pare che faceva parte della zona a monte non ancora esplorata, diceva che ogni identificazione era arbitraria e di guardare solo gli olivi secolari, tra le rovine della cosiddetta Accademia, e di stare attenti ai cani.
Cammini per ore lungo rovine sbrecciate dove millenni prima sventolavano tende scomparse, e i vestiti, i giochi e le voci: forse di qua c’era la stanza dei servi, anche se in effetti potrebbe essere l’anticamera per gli ospiti di riguardo; lì c’era una torre e il casale tutto attorno, o forse il casale è arrivato dopo, non è certo improbabile…
Quella del Professore è una mente anomala che ha capito il trucco: niente è come sembra, “ogni identificazione è arbitraria”, e questo per tutto e per tutti: e se non c’è differenza, siamo tutti uguali. La paura diventa piccola.
Questo tema in realtà deraglia, può solo deragliare. Ha senso camminare all’indietro, se prima o poi becchi un muro? Il tema di prima media iniziava così:
Visto che non ho voglia di parlare di cose ‘serie’ preferisco raccontare la corta storia del mio gatto.
Nel Mesolitico iniziano le prime tecniche di stoccaggio e l’addomesticamento degli animali. Compaiono anche le prime figure sciamaniche, cioè persone che ascoltano e curano, esplorano altre dimensioni dello spirito, si affidano agli animali guida, alla via estatica. Al centro del saggio di Meller e Michel (si chiama Il mistero della sciamana, è una ricerca accorata, fieramente multidisciplinare, che tra le altre cose dimostra l’inesattezza di parole come “sciamano” e “sciamanesimo”) c’è una donna nata con un problema congenito che le rendeva la vita più difficile: la malformazione della prima vertebra cervicale infatti può provocare sintomi di paralisi, ma anche disturbi percettivi e allucinazioni.
Gli studi hanno dimostrato che la sua anomalia è associata a un’insorgenza di nistagmo posizionale down-beating, che comporta un rapido movimento verticale degli occhi. L’intero bulbo oculare si alza e si abbassa velocemente. “Quindi, a seconda della rotazione della testa, i suoi occhi si muovevano in modo strano: sembrava che fosse posseduta,” spiega il professore di medicina. “Questo movimento, essendo regolato dal tronco encefalico, non può essere provocato volontariamente e, una volta visto, non lo si dimentica.”

Sapeva ascoltare le persone, e guarirle con medicine e canti. È vissuta per una trentina d’anni, e per almeno sette secoli (non si sa) è stata al centro di un culto regionale (le estensioni della regione e del rito sono ignote). Nell’epoca che funzionava a voce, una donna è stata oggetto di culto per quasi un millennio.
Nel Mesolitico venivano allevate diverse razze di cani, anche per essere mangiate. In un’intervista raccolta nel Mistero della sciamana, l’archeologa Gaudzinski-Windheuser tiene tra le mani “la mascella inferiore di un giovane orso. È chiaramente riconoscibile che era stato portato a spasso con un collare. Il Mesolitico”, scrivono gli autori del saggio, “è un periodo di sperimentazione”.
Si prova della roba, molta non attacca. Altre idee funzionano e non vengono messe in questione per decine di millenni, sono idee di madre ignota.
Mi torna in mente un’altra questione di quelle epoche che funzionavano a voce: le invenzioni virtuali.
Si ritiene che nelle società non gerarchiche del Paleolitico l’accumulo delle eccedenze e la proprietà privata non esistessero, che non ci fossero le condizioni necessarie. Il ritmo delle innovazioni era quindi molto lento, ed era meglio non stravolgere gli equilibri.
Gli aborigeni australiani sapevano come essiccare e affumicare, ma non applicarono mai queste tecniche alla conservazione del cibo; in alcune regioni europee del Paleolitico superiore, la lavorazione della terracotta non portò alla ceramica: si preferiva modellare statuette di animali e “Veneri”; nel Paleolitico si sapevano già lisciare le pietre, ma si preferiva sfruttare la tecnica per i gioielli, e non per le armi, si preferiva il simbolico al pratico.
In realtà sono stati rilevati esempi di invenzioni virtuali anche in società complesse, come i Maya che conoscevano bene la ruota ma non la usavano, perché era ritenuta sacra; o le macchine a vapore inventate nell’Egitto ellenistico, utilizzate dai Greci “esclusivamente per attivare l’apertura delle porte di alcuni templi”. [Fonte: Gwenn Rigal]
Venivano scoperte delle tecnologie che avrebbero potuto rivoluzionare la storia di un popolo, solo che il popolo sceglieva di giocarci. Di ignorarle, o di avversarle. Non era una questione di asincronia con i processi produttivi, “non era troppo presto”: le tecnologie fallivano perché non era il caso.
La cultura, mi sembra di capire, si costruisce decidendo cosa ignorare.
È l’unica macchina del tempo che siamo riusciti a mettere in moto. Macina tutto, però. Qualcosa poi viene fuori, delle ossa, statuine, pendenti. Si tira fuori un sasso, e quel sasso è una selce, serviva per cucire, o forse per uccidere.
Il mio tema di bambino ometteva la sepoltura del gatto, l’esatta ubicazione e le condizioni del terreno. Ometteva che grazie alla memoria delle macchine sarebbe stato ricordato, da qualcuno o qualcosa, per altri sette secoli almeno.
#2 LA PLAYLIST DI SONAR
Quando su internet ho ringraziato le persone che hanno reso possibile l’uscita di Sonar, l’audio-documentario che ho realizzato con il Post, più di una persona mi ha chiesto se fosse possibile ascoltare una playlist che raccogliesse la musica che ho selezionato per il progetto.
Ora si può trovare qui.
È quasi integrale, mancano un paio di cose che si trovano su YouTube, per esempio la musica del livello subacqueo di Donkey Kong. Non credo la playlist sia “utile per studiare” o simili, ecco, non promette niente. L’ho messa insieme inizialmente seguendo l’ordine delle apparizioni musicali nelle varie puntate, poi deragliando verso il finale, alla ricerca di un criterio più sensato.
Tutto qui. Grazie ancora al Post (a Valentina, Yi Ming, Matteo), a chi compare nel podcast, e a chi l’ha ascoltato.
Un’ultima cosa: parlerò di Sonar il 12 settembre al PAV di Torino insieme a Mattia Capelletti di ALMARE, un collettivo artistico-curatoriale che si dedica alle pratiche contemporanee che utilizzano il suono come mezzo espressivo (che vi consigliamo di conoscere).
#3 IL PROGRAMMA DI 2084
Si avvicina la terza edizione di 2084, il festival che curiamo con Marco Rossari, grazie al coordinamento di Francesca Cristoffanini e alla Scuola di scrittura Belleville. Come vi avevamo anticipato nello scorso numero, eccoci qui con il programma completo. Si spazia dai racconti fotografici ai suoni del cosmo, dalle invenzioni linguistiche alle storie di formazione più surreali; 2084 è un festival che si riconosce dall’ostinata fame d’irrealtà.
SABATO 21 settembre | @ East River Milano
H 16.00 - 17.00
Spostare le frontiere dell’io | con Claire-Louise Bennett e Tommaso Pincio
Che cosa possiamo apprendere in solitudine? Come può il nostro sguardo cambiare, adattarsi, entrare nella profondità delle cose? Qual è il senso del nostro io narrativo nel mondo? Con due libri inclassificabili, Bennett si è imposta nel panorama letterario contemporaneo come una voce inconfondibile, capace di raccontare in piccole storie esilaranti e poetiche l’isolamento di una giovane donna nella campagna irlandese, così come le vicende di un fluttuante “io” working class che cresce in mezzo ai libri. Sulle tracce di Beckett e Lispector, audace e sperimentale (eppure leggibilissima), Bennett sposta le frontiere della letteratura un po’ più in là.
H 17.30 - 18.30
Audiorama | con Caspar Henderson e Alberto Riva
Bernie Krause, musicista ed ecologo dei paesaggi sonori, classifica la “musica” del mondo in base alla sua origine: alla geofonia - l’insieme dei suoni prodotti dalla terra e dagli eventi atmosferici - affianca la biofonia, che riguarda i suoni del mondo vivente, e l’antropofonia, la sfera dei suoni associati agli esseri umani. Nel suo ultimo saggio Caspar Henderson, già noto al pubblico italiano per Il libro degli esseri a malapena immaginabili, propone una quarta tipologia sonora: la Cosmofonia (Utet 2024), la sfera dei suoni prodotti dal cosmo. Bisbigli, silenzi, fragori: la ricerca di Henderson abbraccia tutte le voci dell’universo. Perché se lo spazio interstellare è silenzioso, le origini della vita affondano nel frastuono.
H 19:00 - 20:00
Il gioco del mondo | con Stefano Bartezzaghi e Telmo Pievani
Dalle Olimpiadi ai cruciverba, da Dungeons & Dragons alla roulette, la dimensione ludica ci nutre e ci riposa, ci emoziona e ci porta altrove: anzi, l’altrove è scomparso, perché il confine tra reale e virtuale è collassato e il gioco ormai è dappertutto. Ma da dove nasce questo bisogno umano e non solo? Di cos’è capace, e quali sono le sue regole, i suoi veri confini? A queste e altre domande risponderanno Telmo Pievani e Stefano Bartezzaghi, allargando le prospettive del gioco nelle nostre vite.
H 21.00 - 22.00
Le foto ci ri-guardano | con Katja Petrowskaja e Andrea Tarabbia
Che cosa ci racconta una fotografia? Quanta vita contiene l’immagine scattata da un’artista importante, da un nostro parente o da un estraneo di passaggio? Fino a che punto ci può ri-guardare una sconosciuta immortalata per caso nel giorno della caduta di Berlino, una pianta cresciuta inaspettatamente a Černobyl’, lo sguardo segnato di un vecchio durante l’insurrezione praghese? Può la scrittura rianimare il passato, connettere storie, intuire legami segreti? Dopo il folgorante esordio di Forse Esther, Katja Petrowskaja prova a raccontare il mistero del nostro sguardo sul mondo. In dialogo con lei il Premio Campiello 2019 Andrea Tarabbia. Nel corso dell’incontro verranno proiettate alcune fotografie che Petrowskaja analizzerà e commenterà dal vivo.
DOMENICA 22 settembre
H 11.00 - 12.00
La vita fuori di sé | di e con Pietro Del Soldà
L’avventura è quell’esperienza che interrompe il ritmo ordinario dell’esistenza lasciando emergere le nostre inclinazioni più profonde: come dice Georg Simmel è “una tensione che inarca la vita”, senza la quale è impossibile entrare in contatto profondo con sé stessi. Pietro Del Soldà ci accompagna a scoprire alcune grandi incarnazioni dell’avventura nella storia della nostra civiltà: da Erodoto a Montaigne, da Alexander von Humboldt a Isabelle Heberhardt. Uomini e donne che hanno capito e praticato la “vita fuori di sé”.
H 15.00 - 16.00
Fame di irrealtà | Un reading di Federica Fracassi
a cura di Marco Rossari e della newsletter MEDUSA
Cos’hanno in comune la fantafilosofia sovietica, i poemi lucreziani postmoderni e le profezie dei gallinacei? A unirli è una sconfinata, furiosa fame d’irrealtà, perché in un mondo attraversato da cavi e missili, travolto da pandemie e temperature estreme, il fantastico è molto più di un diversivo: è un manifesto e una necessità.
H 17.00 - 18.00
Que viva México | con Patrick Deville e Marco Rossari
Tutti gli ideali e tutte le passioni, da quelle politiche a quelle letterarie, sembrano passare per il Messico ribollente degli anni Trenta, dopo la rivoluzione russa e prima della seconda guerra mondiale. Può la rivolta partorire una tale quantità di idee, opere d’arte, incontri tra scrittori, ribelli, pittori, visionarie? Patrick Deville, in dialogo con Marco Rossari, ci racconta la Storia come un vulcano, sempre pronto a eruttare meraviglie: un vortice violento e incandescente con protagonisti Lev Trockij, Malcolm Lowry, Arthur Cravan, Tina Modotti, Frida Kahlo, Diego Rivera, Antonin Artaud, Vladimir Majakovskij, Che Guevara. E anche un po’ tutti noi.
H 19.00 - 20.00
Da che punto guardi il mondo | con Elif Batuman e Vincenzo Latronico
L’opera letteraria di Elif Batuman si concentra sugli anni della formazione, quando gli orizzonti intellettuali si schiudono e il romanzo della vita mostra le sue prime crepe. Nelle mani di Batuman la materia autobiografica, così intrisa di pensiero e di sentire, è il punto d’accesso all’indagine della realtà intesa nel senso più vasto, più filosofico: la sola garanzia che la mente inquisitiva e affilata dell’autrice sa offrire ai suoi lettori. Perché le storie, dove realtà fattuale e esperienza soggettiva si fondono, sono l’unico orizzonte affidabile, l’unico tipo di discorso ancora capace di farci cambiare idea su noi stessi, sugli altri e sul mondo.
H 21.00 - 22.00
Sarò breve | con Alessandro Bergonzoni
Con Alessandro Bergonzoni il festival finisce esplorando la sala specchi della complessità linguistica, nel pensiero che diventa lingua e viceversa. Artista, attore e autore teatrale, esploratore delle soglie del significato, la ricerca di Bergonzoni nelle varie discipline artistiche non ha eguali nel panorama italiano. Manipolazioni e commistioni, visioni di impossibilità possibili, nella sua voce di “Altrista” la realtà diventa “crealtà” e la “congiungivite” l’unica strada percorribile.
Continua l’epidemia devastante di influenza aviara di cui vi abbiamo già parlato in un paio di occasioni: con circa 280 milioni di volatili morti da ottobre 2021, H5N1 ha innescato il tracollo della popolazione mondiale di uccelli più grave degli ultimi decenni.
Il virus ha ucciso uccelli di 320 specie diverse.
Il virus si presenta nelle feci, nel muco, nel sangue e nella saliva: 1 uccello può infettarne fino a 100.
Secondo gli esperti intervistati dal Guardian, basta “un cucchiaino di feci per uccidere un intero pollaio, […] con tassi di mortalità fino al 100%”.
Al momento dell’invio di questa newsletter, nell’aria danzano 422,48 ppm (parti per milione) di CO2.