EXTRA! STENDARDI
di Matteo De Giuli. "Non ci interessa affatto come è il film, la canzone, il programma, il romanzo. Ciò che c’importa è cosa pensa l'artista". Nuovi appunti su scrittura, cronaca e ambiguità.
Benvenuti, questo è un nuovo numero EXTRA! di MEDUSA, la newsletter a cura di Matteo De Giuli e Nicolò Porcelluzzi – in collaborazione con Not.
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Abbiamo deciso di provare a usare gli EXTRA con più frequenza: per recuperare materiale d’archivio, per raccontarvi frammenti di libri che leggiamo o per condividere con voi pezzi di cose che pubblichiamo altrove.
In questo numero qualche appunto su arte, cronaca e politica, a partire – di nuovo – da Ursula Le Guin, e poi da un articolo di Edmondo Berselli del 1994 e dal romanzo Presenza della morte, di Charles-Ferdinand Ramuz, scritto nel 1922 e pubblicato in Italia in questi mesi da Feltrinelli con la cura e la traduzione di Maria Nadotti.
In questo numero leggerete di intelligencija e obiettivi, di TikTok e eccezioni, di percezioni e meraviglie.
A volte capita che due libri che si leggono nello stesso periodo, per quanto estranei tra loro, finiscano per stabilire una comunicazione silenziosa, una sorta di connessione psichica che passa attraverso noi lettori, intermediari inconsapevoli – a volte sembra che basti il contatto delle copertine nella pila sul comodino perché si insinui l'idea di questo legame invisibile.
Qualche settimana fa, mentre leggevo Il mondo della foresta di Ursula K. Le Guin, leggevo anche La cultura degli italiani. È una raccolta di saggi uscita per Il Mulino trent'anni fa. Due libri che con ogni probabilità non si erano mai incontrati prima, e non avevano dopotutto nessun motivo per farlo.
Nella prefazione a Il mondo della foresta, Le Guin racconta di aver scritto il suo romanzo durante le lotte pacifiste contro la guerra in Vietnam, e di aver temuto che il fervore politico avrebbe finito per svilire il valore letterario del libro.
"A causa della cifra compulsiva che aveva caratterizzato la sua composizione, sapevo che era probabile che questa storia si tramutasse in una sorta di predica e ho cercato di oppormi".
Nella MEDUSA dal titolo AMBIGUA raccontavamo il modo in cui c'era riuscita.
La cultura degli italiani esce nel 1994, un anno senza dubbio interessante per domandarsi, come fa la quarta di copertina, "chi sono, che cosa pensano, come pensano gli italiani?".
Il penultimo intervento del libro è di Edmondo Berselli e si concentra sull’omologazione culturale della sinistra italiana. Racconta (ed è qui che – almeno nella mia testa – si mette a parlare con Le Guin, inconsapevolmente) come in Italia troppo spesso lo slancio politico con cui venivano pubblicati romanzi, girati film, pensati progetti artistici, avesse finito per mettere in secondo piano l'effettiva bontà di quei lavori.
Secondo Berselli affinché un’opera incontri il favore della nostra intelligencija deve soddisfare due condizioni. La prima: che l'opera non sia, per nessuna ragione, un semplice oggetto di intrattenimento. La seconda: che il suo autore abbia dichiarato fedeltà a un orizzonte politico chiaro, alto, inequivocabile. In questa logica, il valore artistico si riduce a un elemento accessorio, perfino sospetto, schiacciato dalla superiorità etica dell’intento, e le opere vengono giudicate più per le loro intenzioni che per la loro effettiva qualità. Berselli, che aveva un talento per gli epigrammi, sintetizzava così:
“Non ci interessa affatto come è il film, la canzone, il programma, il romanzo. Ciò che c’importa, e invitiamo l’autore a farcelo sapere senza esitazioni, è se lui vuole la rivoluzione o no, se ha una consapevolezza sociale, una coscienza di classe. Di fronte alla giustezza delle posizioni, i cattivi risultati sono miserevoli incidenti di percorso”.
Di arte pedagogica, di intenti che prevaricano sui risultati, di scrittori che rischiano di venir giudicati per quel che pensano e non per i romanzi che scrivono, abbiamo già parlato nel nostro libro quando scrivevamo: