EXTRA! POTERE
di Nicolò Porcelluzzi. Del materiale aggiuntivo agli studi su “Guerra e Pace”: questa volta meno poesia e più geopolitica, ma si fa per dire.
Benvenuti, questo è un nuovo numero EXTRA! di MEDUSA, la newsletter a cura di Matteo De Giuli e Nicolò Porcelluzzi – in collaborazione con Not.
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Abbiamo deciso di provare a usare gli EXTRA con più frequenza: per recuperare materiale d’archivio, per raccontarvi frammenti di libri che leggiamo o per condividere con voi pezzi di cose che pubblichiamo altrove.
Usiamo il numero di oggi come laboratorio di appunti ragionati intorno alla concezione storiografica di Tolstoj e la sua idea di potere: stella polare del suo libro più noto, è che la Storia non la facciano gli eroi ma gli intrecci del caso.
In questo numero leggerete di Napoleone e Trump, di romanzoni e ometti, dell’inerzia delle trame.
Sono così nauseato dalla figura di Elon Musk che negli ultimi dieci anni ho scritto di lui soltanto un paio di volte: e se lo scrivo è perché trattasi di un paradosso. Uno dei primi articoli che ho scritto per lavoro, intendo che ho scritto sapendo che qualcuno mi avrebbe pagato, era proprio un suo profilo, tra i primi in Italia. Sono passati quasi dieci anni, la rivista che ospitò l’articolo non esiste più ma resta, delle cose che ho scritto, senza dubbio la più letta. Peccato, perché scrivevo ancora di testa.
Vennero raccolte centinaia di migliaia di visualizzazioni sul canale principale dell’epoca, che era Facebook; con ogni probabilità, un numero manipolato dalla piattaforma. Il motivo dell’incredibile successo di quell’articolo nel reame dell’aria fritta fu dovuto a due contingenze, 1) il funzionamento di Facebook nel 2016, dove poco prima della fallita conversione al formato video, e la successiva trasformazione nel lebbrosario che è oggi, l’algoritmo padronale promuoveva volentieri gli articoli sponsorizzati, cioè oliati dall’editore, concessione che all’epoca sembrava il minimo della pena, fino a quando nemmeno il denaro sacrificato alla macchina si rivelò sufficiente come garanzia e 2) in pochi sapevano chi fosse Elon Musk, e di questi i più l’avevano sentito nominare da qualche amico ingegnere, o particolarmente secchione, o esperto di Silicon Valley – figura fino a metà anni Dieci ancora atipica –, e mancava qualche anno alla famigerata “consacrazione mainstream”.
Due aneddoti per rifinire il contesto, e poi arriva Tolstoj: ricordo l’apertura del primo Tesla Store a Milano – il primo in Italia? in piazza Gae Aulenti –, me la segnalò un dirigente dell’agenzia per cui lavoravo, mesi dopo la pubblicazione dell’articolo: ricordo l’euforia (sua), e l’aria aliena che si respirava intorno. Ricordo anche una conferenza al Centro Pecci di Prato, nel 2017, dove ero stato chiamato a parlare di Musk. Di nuovo, non solo nessuno ne aveva sentito parlare, ma ricordo la risatina giustamente scettica, nel pubblico, sentendomi dire che “nel giro di qualche anno, lo vedrete al TG1”.
L’articolo successivo, febbraio 2018, era uscito sul Tascabile. Sottotitolo: “Razzi, astronauti fantocci e colonialismo spaziale: il marketing applicato alla fine della specie”. Chiedo perdono per l’autocitazione, la sto usando per sentire tutto il disagio che ci infligge il passaggio del tempo. Con il passare degli anni certe domande diventano più grandi delle altre. 2018:
Quando vedo realizzarsi i sogni di Musk, non mi chiedo (solo) come, mi chiedo (soprattutto) perché? E qual è la magnitudo dell’impatto Musk sulla psiche collettiva?
Ora: oltre a commentare alcune strane scelte di stile, cosa posso aggiungere alla citazione? La gravità di questo impatto oggi è roba da bar. La domanda diventa: quale può essere la fine di questa storia?
La mia sensazione è che, come in tutte le storie di dittatura più o meno autoritaria (chiariamoci: gli Stati Uniti non sono ancora la Bielorussia), il vero campo di battaglia sia il corpo del leader. Nel caso di Musk si iniziano a intuire, sempre più evidenti, i segni di un tentennamento psico-fisico. Possono essere passeggeri o strutturali, deve deciderlo lui.
Mi limiterò a notare che il suo uso di stupefacenti negli ultimi anni abbia iniziato a insidiarne anche i pochi talenti oggettivi e indisputabili, ovvero la creazione di immaginari e la proposta di soluzioni potenziali a problemi insolubili. La sua mente oggi ricorda un posto sporco, una finestra opaca. La parlata erratica, la gestualità da ducetto… La sua mente porta in giro un corpo che è insieme gonfiato di proteine liquide e scavato dall’Ozempic, muscoloso e debole.
Il suo trionfo, come uomo più ricco del pianeta e lacchè del più potente, è la prova definitiva che in questo secolo sia comparso un nuovo soggetto umano, un essere umano che può raccogliere gli onori e le ricchezze anche se totalmente privo delle minime capacità relazionali, comprese quelle che pendono come semplici frutti perfino per gli psicopatici e i notai. Non bisogna più saperci fare, bisogna saperci fare su internet.
Ora, chiuso il capitolo sull’Imperatore dei maschi che non si fanno la doccia, vorrei passare a cose meno sgradevoli, e per arrivarci devo partire dal finale di Guerra e Pace; non si tratta del cosiddetto “spoiler” di trama, perché verso il finale del romanzo Tolstoj si concede molte, molte pagine saggistiche che oggi qualunque editor taglierebbe senza addurre spiegazioni.