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EXTRA! LUSSO

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di Nicolò Porcelluzzi. Diamanti, potere, un Charizard olografico: di cosa abbiamo davvero bisogno, oggi? Da Adam Sandler ai diadochi macedoni, alcune riflessioni intorno alle nuove classi sociali.

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mag 26, 2025
∙ A pagamento
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EXTRA! LUSSO
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Benvenuti, questo è un nuovo numero EXTRA! di MEDUSA, la newsletter a cura di Matteo De Giuli e Nicolò Porcelluzzi – in collaborazione con Not. 

Gli EXTRA! sono i numeri speciali, a cadenza irregolare, riservati agli abbonati annuali o mensili che hanno deciso di sostenere il nostro progetto.

Se sei iscritto ma non abbonato, per leggere questo numero e gli altri EXTRA! disponibili sul sito puoi aggiornare il tuo profilo qui sotto, scegliendo una delle voci disponibili – si possono donare 5€ al mese; oppure 30€ l’anno e quindi 2,5€ al mese; oppure si può fare un’offerta libera annuale:

Abbiamo deciso di ricorrere agli EXTRA con più frequenza: per recuperare materiale d’archivio, per raccontarvi idee alle quali stiamo lavorando, libri che stiamo leggendo o per condividere con voi pezzi di cose che pubblichiamo altrove.

In questo numero vi proponiamo un pezzo che è fresco di pubblicazione. Si chiama “The eternal quest for something useless”, l’ha tradotto Caterina Capelli (scrittrice e editor) e si trova sul magazine di Laguna~B. La rivista è una piattaforma che esplora e approfondisce “i nostri argomenti preferiti, esprimendo al contempo la visione e i valori dell’azienda attraverso i contributi di firme internazionali”. Su Laguna~B vengono pubblicati quattro articoli al mese, secondo temi e forme diverse.

L’editore mi ha chiesto di interrogarmi intorno all’idea corrente di lusso, e ho trovato opportuno integrare alle mie riflessioni l’esplorazione di un angolo di Midtown Manhattan rimasto bloccato nel tempo, il Diamond District. È un minuscolo reticolo di strade dove si smercia il 90% dei diamanti in entrata negli Stati Uniti. Nonostante la segretezza che lo circonda, ho raccolto un paio di incontri interessanti. Quella che segue è la versione originale, cioè in italiano, e presenta un paio di variazioni minime.

In questo numero leggerete di Diamond District e antropologi francesi, di Matteo Messina Denaro e Karim Benzema, di Bulgari e Pokémon.


È il 3 aprile 2025. Sono le nove di mattina, e negli Stati Uniti è in corso la prima apertura di Wall Street dopo gli annunci dei dazi trumpiani che potrebbero avere concluso una fase storica iniziata con il dopoguerra, evolutasi poi con la caduta del Muro e l’ingresso della Cina nel WTO, l’Organizzazione mondiale del commercio. Il mondo non è più lo stesso, ma non è la fine: vediamo che succede.

Il famigerato toro di bronzo è attorniato da due varietà di turisti. All’altezza della testa, i giapponesi si fotografano insieme alle grosse corna; all’altezza dei testicoli, impegnati a tastarli come l’agronomo con le mele renette, ci stanno soprattutto gli italiani. Non ho altre immagini da proporre di quella mattina, a parte l’andirivieni di broker dai connotati postmoderni che si alternano nelle porte girevoli del NYSE, tutti in smanicato Patagonia o Columbia sui toni del grigio fucile, matcha d’asporto nella sinistra: sembrano sereni e bionici, come se del loro ruolo fosse rimasta solo la parte, da quando la finanza si è evoluta nei ritmi micromolecolari dell’high frequency trading.

Mi colpisce la loro qualità omogenea, e una enorme bandiera del leone di San Marco accanto al Trump Building di Wall Street. In metro diretto a Midtown, mi chiedo cosa resterà di questo senso d’urgenza, di questo capitoletto di storia contemporanea vissuto di ora in ora, tra dirette televisive e bollettini perpetui. Mi rispondo poco, pochissimo, e a un mese da quelle notizie le mie impressioni vengono confermate dai fatti. La maggior parte dei dazi è sparita, la credibilità del Presidente è al collasso, la gente parla del conclave: resta però la percezione di un Paese che perdendo l’equilibrio ha urtato l’asse del pianeta, nel modo degli asteroidi nei film.

Il lusso ai tempi dei dazi

Speculare intorno dell’idea corrente di lusso e le sue implicazioni senza passare per Donald Trump sarebbe poco professionale, no? Come otto anni fa, in questi mesi si sono moltiplicati gli articoli di costume che esaminano al dettaglio la pacchianeria degli interni trumpiani, compreso e soprattutto quello dell’Ufficio Ovale. Ci sono dei giornalisti che si sono occupati di dimostrare l’estrema somiglianza tra le applique dorate dell’ufficio e delle decorazioni di poliuretano che si possono acquistare su Alibaba.

La Casa Bianca si sta trasformando in una di quelle regge dei petrodollari arabi, o nel palazzo di Ramzan Kadyrov, dove Anna Politkovskaja si era accorta delle etichette dei prezzi ancora attaccate a lampade e tappeti. Non c’è molto da dire: l’oro luccica, tutti ne vogliono e il suo valore è in continuo aumento. Trump se ne avvale come un bambino di dieci anni che ha scoperto l’aceto balsamico per l’insalata. Gli interni della Trump Tower nella Fifth Avenue, che ho potuto apprezzare passeggiando per i primi piani riservati al pubblico, e che si trovano a un semaforo di distanza dalla sede di Louis Vuitton, un palazzo senza finestre che è una gigantesca riproduzione delle valigie che ne riproducono il motivo floreale, dicevo gli interni trumpiani fanno contente le teorie di Sean Monahan.

Monahan è il giornalista che si è inventato la definizione di “normcore” dieci anni fa (la moda del vestirsi normale, felpe, vestiti comodi), e che ora, per dare un altro giro alla ruota, ha proposto la cosiddetta “Boom Boom”. Sarebbe l’estetica pacchiana di chi vuole ostentare il consumo cospicuo. Interni placcati d’oro, giacche con le spalline, messe in piega costose, animalier e pelliccia, eccetera. Ovvero quelli che da noi sono sempre stati chiamati Anni Ottanta.

Ciò detto, il successo di queste etichette (e.g. “brat summer”) è diretta conseguenza della frammentazione del panorama culturale e delle tendenze imposte dall’alto, una realtà chiara anche ai meno studiati, e sembra essere soprattutto una materia utile alle firme di moda e costume per tirare su qualche fattura: finalità che mi vede del tutto solidale e partecipe.

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