EXTRA! LINEA
di Matteo De Giuli e Nicolò Porcelluzzi. In questo numero leggerete di deserti e utopie, di nuove città e vecchie idee, di Serpentone e Superstudio, Cicalone e piste da sci.
Benvenuti, questo è un nuovo numero EXTRA! di MEDUSA, la newsletter a cura di Matteo De Giuli e Nicolò Porcelluzzi – in collaborazione con Not.
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In questo numero leggerete di deserti e utopie, di nuove città e vecchie idee, di Serpentone e Superstudio, Cicalone e piste da sci.
Prospettica è una nuova “rivista di futuri abitabili”. Parla di architettura, urbanistica, design. Il primo numero è dedicato tutto a The Line, “un progetto ambizioso, per alcuni folle: la costruzione di una città nel deserto dell’Arabia Saudita, una città racchiusa tra due muri di specchi alti quanto le torri gemelle”. The Line fa parte del progetto ancora più ampio di Neom, di cui Severino Antonelli ci raccontava qualche anno fa su MEDUSA (era il 2018).
La neo redazione di Prospettica (Zeno Toppan direttore, Nicola Feninno caporedattore, mentre la cura grafica è di Paper Paper) ci ha chiesto di scrivere due interventi sul tema. Abbiamo deciso di dare sfogo al nostro scetticismo. E visto che si parla di linee, abbiamo messo in parallelo The Line con l’utopia interrotta del Serpentone (Matteo) e con i progetti provocatori della Città Nastro di Superstudio (Nicolò). Riportiamo qui, per gli abbonati di MEDUSA, i due pezzi.
Qui ci stava bene una palestra
di Matteo De Giuli
Anche a Roma c'è una linea: è il palazzone grigio del Nuovo Corviale, un edificio lungo un chilometro e alto quaranta metri costruito alla fine degli anni settanta. Non nel deserto ma sopra una collina, nel verde dei campi, in mezzo ai pascoli. I romani lo chiamano «il Serpentone» e dicono che da quando c'è lui il ponentino non arriva più in città.
Anche il Nuovo Corviale è la metafora di una metropoli schiacciata in un parallelepipedo, un moloch che segna il paesaggio come una cicatrice. Certo se lo mettiamo accanto a The Line, il Serpentone sparisce. Ma è comunque una costruzione imponente per i nostri standard da provincia degli imperi. Nove piani, milleduecento appartamenti, seimila stanze. Settantaquattro ascensori, anche se quelli funzionanti non sono mai stati più di una decina.
Quante persone ci vivevano negli anni ottanta?
Quante oggi?
Nessun dato è affidabile.
Quattromila, forse seimila.
«Diecimila», dice con orgoglio chi da lì non se n'è mai andato.
Venne eretto dall'ATER, ex IACP, l'istituto case popolari. Le prime chiavi furono assegnate nel 1982, ma i lavori di rifinitura non terminarono prima del 1985-86. Il Nuovo Corviale rimase a lungo irraggiungibile e senza servizi. Il quarto piano era stato ideato come spazio comune per negozi e attività commerciali e venne subito occupato. Nei campi attorno spuntarono alcune baracche. Politici e amministratori abbandonarono i residenti a loro stessi accelerando la conversione del Serpentone in quello che è oggi: il simbolo di un degrado impossibile da mondare, palazzo dormitorio di un'umanità sconfitta.
«Ma se la gente si riduce così è perché non c’aveva altre alternative», per citare Simone Cicalone, ex kick-boxer e pugile professionista, oggi youtuber di successo e moderno cantore delle periferie.