EXTRA! ESTASI
di Nicolò Porcelluzzi. Attraverso i suoi codici impuri, i trucchi e gli specchi, la poesia ci avvicina alla verità.
Benvenuti, questo è un nuovo numero EXTRA! di MEDUSA, la newsletter a cura di Matteo De Giuli e Nicolò Porcelluzzi – in collaborazione con Not.
Gli EXTRA! sono i numeri speciali, a cadenza irregolare, riservati agli abbonati annuali o mensili che hanno deciso di sostenere il nostro progetto. Li riprendiamo da oggi, dopo averli tralasciati un po’.
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Ecco l’ennesimo pezzo su Herzog, non è vero? Più o meno. In realtà è il primo che ho scritto, dei due o tre che sarebbero seguiti, e risale al 2016, a poco prima che ci conoscessimo nella redazione virtuale di Prismo.
Un anno dopo sarebbe nata questa newsletter.
Come ripeteremo altre volte, Prismo era una rivista che dieci anni fa anticipava estetiche e linguaggi ormai ben assorbiti, digeriti e sparsi nei campi della cultura contemporanea. Che in realtà sono campi bombardati, dai confini incerti, frammentati, come profetizzato dallo spirito della rivista stessa.
Rivista nata online e morta online, poi parassitata da un virus dell’Est che ne ha divorato le interiora, per nutrire qualche oscuro progetto di data mining. È tutto vero, del sito non si trova più niente. Mi ero tenuto però delle copie degli articoli di quegli anni, compreso quello che leggerete oggi, e che per fortuna ho riscritto. Lo ricordavo diverso, e sistemarlo mi ha condotto un’altra volta ancora al problema centrale della scrittura, ovvero la chiarezza, massima forma di compassione.
Qualcosa prova a persuaderci, senza pietà, che le nostre forme del passato fossero le più complete. Le più riuscite, le più risolte.
È sempre vero il contrario.
Vi auguriamo un buon anno nuovo.
Da quando esiste, il cinema documentaristico gioca con le categorie del falso e del vero. Ci gioca invocando un presunto fair play “(quello che vedete è tutto vero!”), oppure truccando senza pietà.
Werner Herzog è un regista che ha messo in chiaro una cosa: l’unica differenza tra queste due fazioni è la postura ipocrita della prima. Alcune delle sue frecciate sono diventate dei cliché (“per me la linea tra documentario e fiction non esiste”. Oppure: “non mi interesserà mai la mera realtà fattuale” perché, altrimenti, “l’elenco telefonico di Manhattan sarebbe il libro dei libri”. Eccetera).
La sua filmografia — che a un primo sguardo può sembrare strapazzata — si unisce in un’idea semplice:
Il fatto è che la parola documentario andrebbe maneggiata con cura. Sembrerebbe avere una definizione precisa, ma è a causa della mancanza di un concetto più appropriato riguardo a un intero genere di cinema.
Da questa convinzione, l’inconsistenza delle categorie, nascono i suoi lavori irriducibili. Prendete Fata Morgana, Lessons of Darkness e Wild Blue Yonder: come si possono classificare? Non sono né feature film né documentari. Sono lavori che si posizionano agli estremi dello standard herzogiano, difficilmente collocabili e consapevoli di esserlo.
Se la distinzione tra fiction e non fiction, più che orientarlo, confonde Herzog, qual è allora la sua stella polare? Risposta: la verità estatica.
Sul piano emotivo il pubblico risponde più alla poesia che al reportage duro e puro, più alla finzione che ai telegiornali. È per questo che Herzog, parafrasando e sintetizzando, sostiene che quando nel 2400 d.C. gli umani cercheranno di capire i nostri ethos e zeitgeist, il film di Tarzan sarà molto più utile che “il discorso allo Stato dell’Unione”. Attraverso i suoi codici impuri, i trucchi e gli specchi, la poesia porterebbe quindi alla verità, dove il linguaggio mostra la sua incapacità di toccare ciò che descrive. Messa giù in questo modo, Herzog è un poeta, e i suoi film, poesie.
Il Paese del silenzio e dell’oscurità
Nella Minnesota Declaration, un manifesto semi-ironico in dodici punti redatto dal regista in una stanza di hotel siciliana alle quattro di mattina dopo essersi imbattuto in un film porno in televisione (la prima espressione di verità, dice, dopo ore di immagini “false e usurate”), c’è un punto che mi interessa più degli altri, il quinto. Eccolo:
“Ci sono strati di verità più profondi nel cinema. Ed esiste una verità estatica, poetica. È misteriosa ed elusiva, e può essere raggiunta solo attraverso invenzione, immaginazione e stilizzazione.”
Questa citazione risale al 1999. Il capolavoro che voglio analizzare risale al 1971, una trentina di film prima. Si tratta di Land of Silence and Darkness (Il paese del silenzio e dell’oscurità), il documentario incentrato sulla figura di Fini Straubinger, 56 anni, una donna sordo-cieca diventata ambasciatrice dei sordo-ciechi della Baviera. Straubinger si occupa di coinvolgere l’opinione pubblica, incarnando le specifiche di questa sfortunata casistica. Il film mostra degli episodi della sua vita e alcuni casi biografici.