EREMITA
di MEDUSA. In questo numero leggerete di freak e nani da giardino, scienziati maledetti e musicisti traumatizzati, gatti magici e macarons canini.
Benvenuti, questo è il numero centosessantatré (nell’ultima edizione avevamo sbagliato i conti, scusate) di MEDUSA, una newsletter a cura di Matteo De Giuli e Nicolò Porcelluzzi – in collaborazione con Not.
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In questo numero leggerete di freak e nani da giardino, scienziati maledetti e musicisti traumatizzati, gatti magici e macarons canini.
#1 MONDI PARALLELI
Nel 2008 i concerti degli Eels non avevano un gruppo spalla ma un documentario d'apertura. Cosa ancora più bizzarra: era un video sulla meccanica quantistica, prodotto dalla BBC. Una scelta strana persino per loro, band indie rock che, sin dall'esordio del 1996, Beautiful Freak, aveva trovato la propria cifra in un patchwork stravagante e difforme di suoni: chitarre acustiche, campionamenti, parti orchestrali, e una mistura casalinga di pop, r'n'b e soul. I testi di Mark Oliver Everett, leader e cantante, erano poi (lo sono ancora) di una intimità disarmante, quasi scabrosa. Accostavano drammi familiari, malattie mentali, tendenze suicide e amori dispersi; Everett esponeva le proprie viscere con l'ingenuità e la precisione di un bambino prodigio.
In quei testi appariva spesso la figura paterna di un uomo geniale e problematico, alcolizzato, anaffettivo: big head, big headaches, grande mente, grandi problemi, recitava il verso di uno dei primi singoli. Solo dopo il successo della band, le hit, i tour mondiali, Mark ha cominciato a fare davvero i conti, come si dice, con il proprio passato, e ha deciso di riscoprire la storia del padre: Hugh Everett III, fisico geniale e miserabile, morto prematuramente all'inizio degli anni Ottanta. Il documentario del 2008 e l'autobiografia pubblicata un anno prima da Mark, Things the Grandchildren Should Know, parlano di lui.
Hugh Everett III si laureò in ingegneria chimica, proseguì poi con un dottorato a Princeton. Tra i suoi insegnanti ci furono fisici di fama mondiale come John Archibald Wheeler, relatore della sua tesi di dottorato, e premi Nobel come Eugene Wigner.
Everett è ricordato per l’ipotesi quantistica dell'esistenza di molti mondi. Universi paralleli, esatto. Una teoria di scarso successo scientifico ma dall'enorme potenza suggestiva. L’idea nasce dopo un paio di bicchieri di sherry, una sera, a Princeton. Per tentare di spiegarla ci vorrebbero più di un paio di righe. Accontentatevi dei paragrafi che seguono, per quanto confusi possano sembrare a una prima lettura.
La meccanica quantistica descrive con successo, a livello microscopico, l'interazione tra le particelle elementari come fotoni e elettroni. Fornisce però risultati paradossali se applicata a un sistema fisico macroscopico. Questo perché nel mondo quantistico una particella elementare può esistere in una sovrapposizione di due o più stati. Un elettrone, cioè, a livello quantistico, non è una palla da calcio, e quindi un oggetto con la sua posizione determinata, la sua velocità, la sua rotazione. È più simile invece a un insieme statistico di palle, cioè – appunto – a una paradossale entità che non è esattamente determinata ma che è, contemporaneamente, una sovrapposizione di differenti posizioni, di differenti velocità e di differenti altre caratteristiche.
Eppure, ogni volta che in laboratorio si misura una proprietà dell'elettrone, si legge un risultato secco, definitivo: è come se solamente uno degli elementi di quella sovrapposizione che dicevamo prima vincesse. Si perde insomma la combinazione e il sistema sceglie una sola delle sue possibili modalità. È un processo insondabile e causale ma è quello che finisce per creare la realtà che conosciamo.
Il nostro mondo macroscopico è unico. Eppure emerge da una molteplicità di alternative possibili del mondo quantistico. Che cosa succede, però, a tutte le possibilità che invece vengono scartate? Questo è uno dei paradossi della meccanica quantistica, da cui discendono i vari paradossi di gatti che sono contemporaneamente vivi e morti dentro una scatola.
Beh, secondo l'ipotesi di Everett III, in ogni istante gli effetti quantistici generano innumerevoli ramificazioni dell'universo, ognuna caratterizzata da un diverso svolgimento degli eventi. Ovvero: ogni volta che un sistema quantistico deve fare una scelta tra una delle sue caratteristiche, dice Everett, è ragionevole pensare che in realtà quella scelta non venga fatta: l'universo, piuttosto, si sdoppia. Crea una copia di sé, solo con una piccola caratteristica diversa. A ogni interazione quantistica nasce un universo. Ed esistono quindi infiniti universi paralleli. E infiniti se ne creano ogni secondo.
Nessuno, all'epoca, pensa che la proposta di Everett possa essere risolutiva. Ma di sicuro è un'idea coraggiosa. E magari, lavorandoci su, può portare a qualche novità, a risolvere per esempio altre incongruenze a cavallo tra la meccanica quantistica e la teoria della gravità. Wheeler cerca così di propagandare l'ipotesi abbacinante di Everett a Niels Bohr e agli altri pionieri della meccanica quantistica. Loro accolgono però l'idea piuttosto freddamente. Si girano dall'altra parte.
La carriera accademica di Everett è appena iniziata ed è già finita. Subito dopo aver chiuso la tesi, scornato dalle reazioni tiepide della comunità scientifica, abbandona l'università. Inizia a fare carriera, e soldi, altrove. Entra al Pentagono come analista di strategie nucleari, poi si mette in proprio e fonda un paio di società di consulenza.
Nella vita privata, si spegne. È solitario, è iracondo, beve, fuma tre pacchetti al giorno. A malapena conosce i figli, Elizabeth, oltre che Mark. Elizabeth soffre di gravi disturbi psichici, e cerca di togliersi la vita già da giovanissima. Quando Mark, dopo il primo tentativo di suicidio della sorella, rientra a casa a tardi, la sera, dall'ospedale, il padre alza gli occhi dal giornale solo per dire: "Non sapevo che fosse così triste".
Hugh Everett morì nel 1982, a 51 anni, per un attacco cardiaco. Mark, adolescente, trova il corpo in salotto, al mattino. Prova a smuoverlo, lo scuote, lo sente freddo. Si chiede: "è la prima volta che ci tocchiamo?". Elizabeth si suiciderà qualche anno più tardi con un'overdose di sonniferi, lasciando scritto sul biglietto d'addio che se ne stava andando a raggiungere il padre in un altro universo.
Negli ultimi quindici anni Mark ha contribuito alla riscoperta pubblica della figura e del lavoro di Hugh, che fino a poco tempo fa era noto quasi soltanto a quel manipolo di scrittori di fantascienza che cercavano un appiglio scientifico per le loro storie di mondi paralleli. Ovviamente Mark – nel documentario, nei libri, nelle interviste – ha finito anche per ingigantire l'effettivo impatto e l'importanza scientifica dei lavori del padre. Così, nel frattempo, Hugh Everett III è diventato anche lui, come il figlio, una piccola icona pop.
L'ultimo album degli Eels, il quindicesimo, si chiama Eels Time! Nel video tratto dal primo singolo, “Time”, compare Archie McGregor Everett, il figlio di Mark, di sette anni. Indossa una maglietta nera, di quelle che si comprano ai concerti. Non c'è la faccia di una rockstar sopra ma quella del nonno, stempiato e malinconico, con lo sguardo perso in altri mondi.
#2 EREMITI DA GIARDINO
La mondanità ha sempre cercato di vestire l'abito della spiritualità – sgualcendolo un poco, inevitabilmente. Negli anni Novanta c'era il buddismo dei VIP: Richard Gere, Roberto Baggio, e tutta quell'ondata di famosi riconvertiti che andavano in giro scalzi, ma in completi firmati. Oggi la pratica ancestrale (e logorante) della meditazione si è sformata nella moda persistente della mindfulness, propagandata da influencer del benessere e ben vista anche nelle grandi aziende: essere "presenti nel momento", d'altra parte, aiuta a produrre di più nel "momento dopo", quando si riaprono gli occhi.
Tra il diciottesimo e il diciannovesimo secolo, l'aristocrazia inglese giocava invece con la moda degli eremiti ornamentali: veri eremiti, in carne e ossa, che accettavano di non vivere in qualche monastero sulle pendici di un monte ma in una cascinetta, una grotticina, un pertugio qualsiasi ricavato nella villa di qualche ricco proprietario terriero.
Gordon Campbell, professore di studi sul Rinascimento all'Università di Leicester, ha pubblicato una decina di anni fa The Hermit in the Garden: From Imperial Rome to Ornamental Gnome.
Che le ville signorili fossero anche un luogo di ritiro, scrive Campbell, era vero già ai tempi della costruzione di Villa adriana a Tivoli. Ma erano i proprietari (gli imperatori, i re) ad aver bisogno di staccare, isolarsi un po' facendo due passi attorno al laghetto di proprietà senza essere raggiunti dalle scocciature del potere. È solo nel sedicesimo secolo, invece, che le tenute dei nobili francesi iniziarono a ospitare piccole cappelle private, e i loro cappellani. E perché questa abitudine piano piano si trasformi nella stravaganza degli eremiti da giardino bisogna aspettare ancora qualche secolo: l'avvento del romanticismo e la nuova ventata di misticismo che iniziò a soffiare tra le librerie dell'intellighenzia inglese. Fu allora che centinaia di nobili decisero, secondo Campbell, di non accontentarsi più di una chiesetta e di un parrocchiano, ma di esigere dei ben più esotici eremiti decorativi per i loro giardini.
Quale brivido più prezioso, più arcano e profondo, di quello che può attraversare la schiena dei commensali quando, durante una festa, indicando il buio fuori dalla finestra nella propria tenuta in campagna, si può rivelar loro che lì, da qualche parte perso in quel buio, indisturbato, un eremita in nostro possesso si sta emancipando dalla vita terrena?
Come scrive Campbell, le regole canoniche, all'epoca, erano queste: “l'eremita non deve mai lasciare il proprio posto, né conversare con nessuno per sette anni, durante i quali non deve né lavarsi né purificarsi in nessun modo, ma deve lasciare che i suoi capelli e le unghie, sia delle mani che dei piedi, crescano finché la natura glielo permetterà”. Ma c'erano anche delle deviazioni dal protocollo: qualche nobile chiedeva agli eremiti di intrattenere gli ospiti delle feste leggendo poesie, o servendo il vino, e diffondendo così, insieme all'alcol, la malinconia, l'introspezione e la cupezza di spirito, tutte caratteristiche molto ricercate dalle élite dell'epoca.
Uno degli eremiti ornamentali più famosi fu padre Francis, di Hawkstone Park, nello Shropshire. Una guida della tenuta – che era piena di easter egg, grottini, torri e capricci architettonici – descriveva così l'attrazione principale, quella appunto dell'eremita:
Suoni un campanello e ti è permesso l'ingresso. L'eremita è generalmente in posizione seduta, con un tavolo davanti a sé, sul quale c'è un teschio, emblema della mortalità, una clessidra, un libro e un paio di occhiali. Il venerabile Padre scalzo, che si chiama Francis (se sveglio) si alza e si avvicina agli estranei. Sembra che abbia circa 90 anni [è il 1784], eppure non ha perso la sua curiosità. È abbastanza disinvolto e lungi dall'essere scortese.
Tutto passa, però. Anche gli eremiti da giardino, che vennero rimpiazzati: a volte da manichini, a volte dai primi automi meccanici. Poi arrivarono le statuette degli gnomi da giardino. Lì finì tutto, davvero.
Oltre al libro di Campbell, potete leggere questo articolo dello Smithsonian Magazine che approfondisce il fenomeno.
#3 GATTO PERNUCCI
Gatto Pernucci esiste, e risponde alle sue logiche. Non è che non ci sia una logica: la logica è Gatto Pernucci. Gatto Pernucci non ha le zampe e cucina torte da pasticceria, sa andare in moto e fare sesso.
Piace a nonne e bambini, è un ricordo felice: tutti hanno un ricordo con Gatto Pernucci, tutti fanno la fila, comprano i palloncini a elio, la maglietta, la tazza.
La storia del fumetto di Juta (Coconino) parte da un osso rotto. La ragazza con il braccio rotto convince il suo compagno, anche lui esaurito dai soldi (l’assenza di) e dalla città, di andare a vivere finalmente in una di quelle famigerate “case di campagna”.
Un giorno si presenta una star conosciuta in tutta il mondo: Gatto Pernucci.
Gatto Pernucci fa il minimo, ma è sempre il giusto minimo.
Tutti lo amano, perché è lui. Ma si scopre che un pezzo di mondo ha deciso di tirarsene fuori: chi sono questi, e perché devono fare gli anticonformisti? Chi si oppone all’egemonia, si distingue per negazione? O vuole soltanto essere lasciato in pace? Amiamo per costruirci un oggetto d’amore?
Le domande di Gatto Pernucci sono domande complicate, e tocca restarci dentro, sapendo che appena si avvicina una risposta si aggiungono due domande, che la vita è nelle relazioni, e che questa progressione prolifera oltre l’orizzonte, anzi fino all’ultimo orizzonte.
Dobbiamo adorare qualcosa. E salvarci da qualcos’altro.
Entrano in scena: i soldi.
#4 PET FOOD, ADORO
Qualche giorno fa è uscito un articolo dell’Atlantic che si intitola Dog Food Is So Fancy Now That I Ate Some (“Il cibo per cani oggi è così raffinato che ne ho mangiato un po’”).
L'intruglio di tacchino di The Farmer's Dog era contenuto in una busta di plastica trasparente che sarebbe stata personalizzata con il nome del mio cane, se ne avessi avuto uno, e assomigliava a un gigantesco ghiacciolo semiliquido fatto di piastrelle: era giallo senape, con sfumature verdi e arancioni. Oltre al tacchino, la ricetta includeva ceci, spinaci, carote, pastinaca, olio di pesce e una serie di vitamine e minerali. Il sapore era buono, anche se un po' insipido, perché The Farmer's Dog controlla la presenza di sodio molto più attentamente di me. Immaginatevi una zuppa ultra-densa e poco condita.
Oltre alla degustazione l’articolo si concede un approfondimento sul mercato del cosiddetto “pet food”. Il fatto è che un numero crescente di animali domestici mangiano meglio di buona parte della popolazione mondiale.
Le opzioni variano, si spazia dagli asado pollo e verdure (quanti dei nostri genitori sanno cos’è un asado?) ai bocconcini di patata americana essiccata (sono viola e vengono 400 euro al chilo). Per 50 euro, puoi anche cucinare ad hoc delle crepes alle verdure.
La nostra marca preferita è Reàl Mesa, dedicata al “cibo per cani di ispirazione mediterranea”, dello chef stellato José Andrés. La tradizione della gastronomia galiziana dritta nella tua ciotola. Curiosi anche i macarons di Bonne et Filou, “il primo marchio di ispirazione francese di lifestyle di lusso per animali domestici”, il nome arriva dai cani di Luigi XIV.
(La lista di malattie di Luigi XIV è agghiacciante. “Nel 1685 la situazione dentale del re peggiorò quando, durante un'operazione per la rimozione di un ascesso nella parte sinistra della bocca, gli venne strappata anche una parte del palato, provocando una fistola oro-nasale”. L’aneddoto meno angosciante è: “a 14 anni una terribile diarrea”. Fonte).


Tutto cambia, è vero, ed è troppo facile fare certa ironia. Il nostro interesse è rivolto soprattutto a queste strategie di marketing che si basano su palette di colori che i cani non vedono, biscotti modellati su forme che non riconoscono. Ci piacerebbe ricostruirne l’origine, capire quali sono gli esseri umani che hanno ricevuto il privilegio di farsi profeti della sinestesia canina.
I cani non hanno nessuna responsabilità, sono innocenti come bambini: a proposito, si potrebbe provare a lanciare degli ossi, nelle mense degli asili, vedere un po’ come va.
Per le sue spedizioni Amazon sta per sostituire tutti gli imballaggi di plastica con imbottiture di carta riciclata. Soltanto in Nord America, in un anno di spedizioni, si tratta di quasi 15 miliardi di cuscini d'aria in meno .
L'annuncio riguarda gli Stati Uniti, il Canada e il Messico, che insieme rappresentano oltre il 70% delle vendite globali di Amazon.
Amazon ha usato imballaggi di plastica per 29 anni.
Secondo UNI Global Union il 78% dei fattorini ritiene che gli obiettivi di Amazon siano difficili molto difficili da raggiungere.
Oltre il 57% degli intervistati afferma che il monitoraggio sulla produttività condotto da Amazon ha avuto un impatto negativo sulla loro salute mentale.
Al momento dell’invio di questa newsletter, nell’aria danzano 426,45 ppm (parti per milione) di CO2.