EDEN
di Nicolò Porcelluzzi. In questo numero leggerete di giardini lontani e menti che ballano, di oceani e archeologi, di piante intelligenti e pianeti in esilio, di guerre informatiche e vizi e virtù.
Benvenuti, questo è il numero centoquattordici di MEDUSA, una newsletter a cura di Matteo De Giuli e Nicolò Porcelluzzi – in collaborazione con Not.
MEDUSA parla di cambiamenti climatici e culturali, di nuove scoperte e vecchie idee. Ogni due mercoledì.
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In questo numero leggerete di giardini lontani e menti che ballano, di oceani e archeologi, di piante intelligenti e pianeti in esilio, di guerre informatiche e vizi e virtù.
Marene era un piccolo paese, e la vita che lo abitava rispondeva a norme ancora più piccole, invisibili all’occhio straniero. La verità è che si conoscevano tutti. Le estati erano molto lunghe. Iniziavano tante mattine e sfumavano alla fine lungo passeggiate disorientate e notturne; delle ombre stappavano bottiglie in dialetto; in alcune strade, le più buie, il gelato dava di tiglio.
Nei giri in bici circolari, più rapidi, si cercava di avvicinarsi alla verità del paese, nel silenzio dei giardini che persiste negli anni e che è oggi più forte, senza il filo d’aria che fessura dalle piscine gonfiabili, gli scatti delle sedie monoblocco che si agganciano a torrette, i semi dell’anguria sputati; si spera, per gioco, che alcuni di questi possano crescere. È solo un gioco di futuro per riempire il prato, farsi compagnia nel piccolo paese di campagna sempre più silenzioso, abitato in tutte le sue curve dai lunghi giri circolari di una memoria che va formandosi, trattiene.
Le grandi villette, negli anni Novanta, si accordavano al paesaggio e alle pretese dei marenesi più anziani. Restano protette da cancelli leziosi, da cani troppo piccoli, palme dimagrite… Dietro a una di queste, nel giardino dei suoi nonni, si nascondeva Linda. Non si può ricostruire il paese senza parlare di quei capelli che prendevano la forma del nido d’ape; gli elastici colorati le raccoglievano i capelli e il viso si ammorbidiva, gli occhi si ingrandivano. Cercavo di perdere a nascondino, la cercavo facendo rumore; facevamo il verso delle vipere per qualsiasi motivo, anche cercandoci, e poi correndo, ma anche a tavola, in macchina, e quando di sera qualcuno ci divideva.
In primavera aspettavamo la sagra, ci facevamo la doccia e lei era più alta. Ci andavamo in ciabatte, sperando di portare a casa qualcosa. Tra le bancarelle, lei mi spiegava come si pescavano le pere, quale contrada dovessi tifare, come derubare gli zingari delle caramelle; io le indicavo il telone del cinema, e le dicevo quello è Chilavert, quello è Morientes.
Pensavo che Linda potesse ricambiare la mia tenerezza, ma non trovavo il coraggio di parlarle. Era molto attenta al giudizio degli adulti, le piaceva giocare; non capivo altro. Un giorno al mare siamo andati in bici al loro hotel, io e mia madre, dove Linda e sua madre erano sdraiate sui lettini, seminude. Pensavo fosse un caso; ignoravo che molti dipendenti dell’azienda facessero le vacanze a Dalene, ignoravo le convenzioni, il peso dei bagagli, i parcheggi. Avevo il permesso di giocare con Linda, pensavo scendendo la scaletta, ma dovevo conquistarmelo lo stesso: in piscina si iniziava dalle gare di apnea. Attraverso il cristallo della piscina potevo finalmente guardarla a lungo e in ogni angolo. A contatto con la superficie della vasca, non potevo sentire la tenda di vento che muovono i pioppi in quella curva di Veneto orientale proteggendo dal sole due donne che hanno partorito da anni, e lavorano da molti altri; le loro parole non si potevano sentire, anche se ognuna di queste, nonostante le impressioni e le digressioni, ripetevano: quarant’anni, quarant’anni. Erano più antiche della piscina, e del prato, più antiche delle sdraio e degli ombrelloni arancioni, dei balconi a mezzaluna e delle mura in finto tufo, del cancello robotico, delle biciclette con il cambio e dell’asfalto nero con le nuove strisce. A pensarci, si diceva S. al sole chiacchierando di un collega cleptomane, erano più antiche di Dalene stessa.
Sul fondo della piscina non ci raggiungevano i raggi del tempo che, anche quel giorno, si distribuivano a macchie per il paese: il ristorante delle palme sarebbe rimasto fedele a sé stesso, ma sempre più fatiscente, smarrito, come i suoi dischi volanti a gettone; come i cavallucci e le loro staffe abbozzate, le manopole pralinate; come il circuito chiuso dell’autoscontro, dove gli scontri attraversando il tempo nell’otto rallentavano fino a dissolvere. C’era poi un coniglio terrificante, a salti meccanici, che indossava un gilet; era più giovane di S., ma le sarebbe sopravvissuto. Due tappeti ancora elastici, quel giorno, e la gru per raccogliere dei giochi di plastica. Non si sentiva sott’acqua il silenzio dei raggi che rifanno i prati e gli oleandri, le strade e i nuovi palazzi bianchi che resteranno disabitati, la nuova sabbia nella nuova spiaggia, e gli altri trucchi del futuro. A vent’anni non avrebbero mai pensato che sarebbe stato il lavoro a tenerle giovani. All’erta, almeno. A quaranta dovevano iniziare ad abituarsi alle trasformazioni impreviste: l’Eden, l’azienda della luce, veniva privatizzata.
Il corpicino di Linda sospeso nell’ambra della piscina lasciava intendere degli inni alla gioia; era bella e rideva anche sospesa, lasciandomi del tutto ignaro della mia condizione, delle mie fattezze e delle contingenze: sospeso anch’io, imparavo a liberarmi da quello che sprofonda, e i nervi, cioè io, imparavano a lasciarsi abbandonare al passato parlato dalle visioni, ai sogni del futuro. Sognavo, nel fondo della piscina, una foto del mare corso incorniciata nel legno di ciliegio, appesa alla parete corta di una camera che non conoscevo ancora, ma familiare, luminosa contro la città metallizzata che si distendeva alla finestra, i suoi palazzi azzurri che si replicano nei volumi e così convivono, e con loro delle infilate di corvi sui cornicioni che bordano le strade, o forse sono degli stormi pronti a riformarsi in volo lontani dai gabbiani delle coste di Calvi fotografate da una giovane sposa; appesi al muro non volano, restano sparsi sulle rocce degli anni Settanta, sul mare corso lontani dall’obiettivo, dagli stormi, dai corvi, dal sogno stesso che li contiene, dove nella camera che resta vaga faccio il mio ingresso con mamma e papà, lavorano ancora e sembrano in visita a casa mia, camminano nascondendo una forma di esitazione (“è casa anche nostra? Stiamo pagando, si arrangia?”), curiosi credo, poi contenti della camera: c’è molta luce. Mia madre si siede ai piedi del letto, i suoi capelli per qualche motivo sono corti, grigi cenere, gli occhi blu, e le chiedo: ti piace? Ti piace la foto, significa, te la ricordi, e lei mi guarda soltanto. Mi guarda a lungo, si stanca, si distende e sento, sottovoce, “continua a cercare”.
#1 2084
Ora possiamo dirvelo meglio, ripartendo da quello che vi avevamo già raccontato: il 17 e 18 giugno 2022, all’EastRiver di Milano, è in programma la prima edizione di un nuovo festival, ideato e organizzato dalla Scuola di scrittura Belleville: un festival che abbiamo curato noi due, insieme a Marco Rossari. 2084. Storie dal futuro. Un piccolo festival per i tempi che corrono.
Due giorni di dialogo tra letteratura e scienza, informazione e filosofia, per raccontare i nuovi modi di creare, di comunicare, di resistere. Un ciclo di incontri che attraversa le frontiere del corpo e della mente: qual è il futuro del nostro destino sulla Terra?
L’ingresso è con tesseramento a 3 euro. Non è prevista la prenotazione.
Siamo contenti di poter condividere con voi i dettagli del programma:
VENERDÌ 17
17:30 La mente che danza. Con Paolo Pecere, Francesca Pennini, Stella Succi.
L’ibridazione dei linguaggi e delle discipline è ciò che unisce i percorsi di Paolo Pecere, Francesca Pennini e Stella Succi: la danza come linguaggio universale, pratica quotidiana, fatica drammaturgica. Un dialogo che nasce per giocare con le idee di Il dio che danza, un saggio filosofico-antropologico che diventa un viaggio sulle tracce di danze e rituali dionisiaci in giro per il mondo: la Taranta in Salento, il theyyam in Kerala, le danze sufi in Pakistan, il vodu in Benin, le cerimonie degli sciamani in Amazzonia e quelle delle tribù urbane a New York.
19:00 Profittevoli esempi di vizio e di virtù. Con Tiziano Scarpa.
Forse ci siamo sopravvalutati. Ormai è evidente che questa specie non merita di sopravvivere. Allora, per trovare qualche esempio a cui ispirarsi per migliorare, bisogna rivolgersi altrove, al regno animale e vegetale, e perfino agli oggetti. O a quei pochi esseri umani che esprimono ancora qualcosa di buono. Tiziano Scarpa fa proprio questo: si guarda intorno e chiede aiuto alle piantine di arachidi, al pesce nasello, alla caffettiera, al bruco, ne indaga le caratteristiche per ricavare da loro uno sprone, un’iniezione di energia morale; ma lo fa anche con gli eroi civili del nostro tempo, come Marco Cappato, e con i campioni sportivi in declino che non mollano neanche di fronte all’inevitabile. Il suo è uno spettacolo di poesia in piedi; o, come dicono gli anglosassoni, stand up poetry: non solo perché si recita sul palco, ma perché è fatta di parole che cercano di non accasciarsi.
21:00 Intelligenze non umane. Con Edoardo Camurri, Stefano Mancuso, Laura Tripaldi.
Noi esseri umani ci consideriamo al vertice della piramide evolutiva. Siamo convinti che l’intelligenza sia una prerogativa soltanto nostra; tutt’al più siamo disposti a riconoscere una certa complessità di pensiero ad alcune specie animali. Ma le cose non stanno così: esistono intelligenze diffuse intorno a noi, nelle piante e perfino in alcuni materiali. È una rivoluzione, una nuova consapevolezza che ci chiede di ripensare radicalmente la nostra relazione con il mondo che ci circonda, come racconteranno Stefano Mancuso, uno dei protagonisti scientifici di questo cambio di paradigma, Laura Tripaldi e Edoardo Camurri.
SABATO 18
11:30 Il futuro del mare. Presentazione del nuovo numero di The Passenger, Oceano, con gli autori Björn Larsson, Valentina Pigmei, Francesca Santoro.
The Passenger è una raccolta di inchieste, reportage letterari e saggi narrativi che formano il ritratto della vita contemporanea di un paese e dei suoi abitanti. Cultura, economia, politica, costume e curiosità visti attraverso la testimonianza di scrittori, giornalisti ed esperti. L’ultimo numero della rivista è dedicato al protagonista indiscusso della Terra: l’Oceano, l’unico grande mare che ricopre oltre il settanta per cento del pianeta. Un volume che porta il lettore a esplorare le storie invisibili custodite dalle acque, un racconto scientifico e narrativo che in questa occasione viene affidato alla voce di Björn Larsson, lo scrittore svedese più amato in Italia, a Francesca Santoro della Commissione Oceanografica Unesco e alla giornalista Valentina Pigmei.
15:00 Il pianeta dell'esilio. Con Vincenzo Latronico, Veronica Raimo, Nicoletta Vallorani.
Ursula K. Le Guin è tra le più importanti scrittrici dell’ultimo mezzo secolo. Maestra della fantascienza, è nota per libri come La mano sinistra del buio (1969) e I reietti dell'altro pianeta (1974) con i quali ha vinto i premi Hugo e Nebula, i più prestigiosi riservati al genere. Per decenni Le Guin ha scritto di ambientalismo e femminismo, utopia e natura, senza tirarsi indietro di fronte alla complessità di questi intrecci. Con l’occasione dell’uscita di I sogni si spiegano da soli, una raccolta di saggi editi da Sur, Veronica Raimo (curatrice del libro), Vincenzo Latronico e Nicoletta Vallorani racconteranno il pensiero di una scrittrice anticonformista e radicale, mai come oggi attuale.
17:00 Il racconto della scienza. Con Agnese Codignola, Fabio Deotto.
Zoonosi, vaccini, siccità, crisi energetica: la scienza è entrata ormai nel dibattito pubblico e nella vita quotidiana di tutti. Ma come e da chi è raccontata? Cosa è cambiato dopo due anni di pandemia? E come si possono comunicare questioni complesse e sfaccettate come l’emergenza climatica? Tra giornalismo, divulgazione e letteratura, Fabio Deotto e Agnese Codignola riflettono sui linguaggi e le storie del nostro futuro.
19:00 La guerra delle informazioni. Con Annalisa Camilli, Leonardo Bianchi.
La primavera araba, Brexit, la pandemia, l’assalto al Congresso, il conflitto russo-ucraino: gli ultimi anni ci hanno dimostrato che la Storia non se n’è mai andata. In un mondo che è in piena trasformazione, strattonato da strani culti e vecchie superstizioni, cresce la necessità di nuove voci e nuove pratiche di giornalismo: Annalisa Camilli e Leonardo Bianchi, tra podcast, newsletter e mezzi più tradizionali, portano avanti un’idea di informazione all’altezza delle esigenze di un presente sempre più surriscaldato.
21:00 Pensare l’impensabile. Con Amitav Ghosh e Anna Nadotti.
Con La grande cecità Amitav Ghosh ha raggiunto un successo planetario: un segnale di speranza, trattandosi di un saggio che riflette sulla assurda divisione tra materie scientifiche e umanistiche, scienziati e artisti. Ma Ghosh è anche un romanziere di lungo corso e Anna Nadotti ne traduce l’opera da più di trent’anni, ricostruendo una lingua meticcia che riflette la polifonia di opere vaste come oceani, voci che rimbalzano tra ricordi e racconti, tracciando mappe di mondi ancora da scoprire.
Per tutti gli aggiornamenti, gli orari ed eventuali cambiamenti fate riferimento ai canali social della scuola Belleville, e a questo sito. Ci vediamo a Milano!
#2 PADOVA IL RITORNO
E poi il 22 giugno saremo a Padova, per l’ultima presentazione del nostro libro, almeno per un po’. Recuperiamo la presentazione saltata questo inverno: ci vediamo mercoledì 22 giugno alle ore 18:30, al parco Milcovich di ArcellaBella nell’ambito di So contemporary, con Caterina Benvegnù, in collaborazione con la Libreria Zabarella.
Un gruppo di archeologi ha effettuato degli scavi in una città di 3400 anni fa sul fiume Tigri, in Iraq. I resti sono affiorati nel bacino idrico di Mosul, dove il livello dell’acqua è di recente diminuito a causa di una estrema siccità.
Secondo la rivista Spektrum der Wissenschaft, la città potrebbe essere l'antica Zachiku, un importante centro dell'impero Mitanni, al potere tra il 1550 e il 1350 a.C.
Il buono stato di conservazione dei resti si deve probabilmente a un forte terremoto avvenuto intorno al 1350 a.C che seppellì ma conservò gli edifici.
Al momento dell’invio di questa newsletter, nell’aria danzano 421,22 ppm (parti per milione) di CO2.