ECCO
di Matteo De Giuli. In questo numero leggerete di pinne e LSD, di pixel e alieni, di vaporwave e poesie, di Vietnam e scoiattoli gommosi.
Benvenuti, questo è il numero centotrentasette di MEDUSA, una newsletter a cura di Matteo De Giuli e Nicolò Porcelluzzi – in collaborazione con Not.
MEDUSA parla di cambiamenti climatici e culturali, di nuove scoperte e vecchie idee. Ogni due mercoledì.
Quello che scriviamo su MEDUSA è gratuito per tutti. E senza sponsor. Se ti piace quello che facciamo, si possono donare 5€ al mese. Oppure 30€ l’anno (e quindi 2,5€ al mese). Oppure si può fare un’offerta libera annuale. Chi si abbona scegliendo una di queste opzioni, riceverà ogni tanto anche dei numeri extra, racconti, post o qualche esperimento pazzo. Se siete già iscritti, potete aggiornare il vostro abbonamento qui:
MEDUSA newsletter è divisa in tre parti: un articolo o racconto inedito e due rubriche: i link e i frammenti dei CUBETTI, e i numeri della CABALA. Per il resto, la nostra homepage è medusanewsletter.substack.com, se volete scriverci potete rispondere direttamente a questa email o segnarvi il nostro indirizzo: medusa.reply@gmail.com. Siamo anche su Instagram.
In questo numero leggerete di pinne e LSD, di pixel e alieni, di vaporwave e poesie, di Vietnam e scoiattoli gommosi.
All'ennesima immersione nelle profondità oceaniche, dopo essere morto decine di volte infilzato da uno squalo, dopo aver sbattuto il muso contro scogli, coralli, granchi, polpi, meduse, dopo aver affrontato da capo ancora una volta tutti i miei errori, di colpo arriva la svolta: scopro un passaggio che non avevo mai notato, nascosto in piena vista tra le rocce marine. Con qualche colpo di pinna arrivo alla fine del cul-de-sac. Ecolocalizzo un enorme diamante blu incastonato tra le alghe. È il glifo che schiuderà la soluzione finale di questa abissale agonia, penso. Ma il diamante risponde al mio colpo di sonar con un messaggio ferale: "Il tuo viaggio è appena iniziato". Allora sento come uno stramazzo delle funzioni cerebrali, un forte crollo della spinta vitale, e mi lascio morire di nuovo, sott'acqua; questa volta, decido di affogare. E ricomincio da capo. Dall'inizio del livello.
Non sono solo. Migliaia di persone giocano ancora a questo vecchio videogioco. Anche loro lo maledicono ogni giorno. Si chiama Ecco the Dolphin, è un action-adventure in cui bisogna impersonare un delfino. È uscito per la prima volta trent'anni fa per Sega Mega Drive: all'epoca vendette più di mezzo milione di copie e nel tempo ha mantenuto un seguito di affezionati che si rinnova a ogni generazione. La gente ama odiare Ecco the Dolphin perché è uno dei videogiochi più frustranti di sempre. Non uno dei più difficili, bisogna dirlo, perché fare un videogioco difficile vuol dire pensarlo come tale, ci vuole calcolo, deliberazione, bisogna progettare la complessità delle soluzioni del puzzle, mentre Ecco the Dolphin è soprattutto snervante, pieno di piccoli errori di architettura e di dinamica del sistema, approssimazioni che lo rendono in alcuni punti quasi ingiocabile. I comandi sono farraginosi, gli ostacoli sono anti-intuitivi, i dialoghi con le altre creature marine sono troppo lenti. Ecco è un delfino, e quindi l'avventura si spezza ogni minuto e mezzo perché bisogna farlo tornare in superficie per prendere aria. E deve stare attento a tutto quello che c'è sott'acqua perché ogni cosa, che si muova o stia ferma, può fargli del male. In più i nemici sembrano spesso invincibili – tranne quando si riesce a batterli in un baleno, senza capire perché.
Come ha fatto un prodotto del genere a diventare un oggetto di culto? Non è solo sindrome di Stoccolma. Ci sono delle cose oggettivamente molto belle nel gioco. Per esempio la grafica. Il Sega Mega Drive girava su un processore a 16 bit, le immagini avevano una tavolozza di colori limitata e una bassa risoluzione, ma i fondali marini pixelati di Ecco sono tra gli esempi di arte digitale più affascinanti dell'epoca. L'atmosfera solitaria dei livelli è così riuscita, i mondi che Ecco esplora sono così perfettamente desolati, che molti dei giovani giocatori degli anni Novanta raccontano di essere diventati talassofobici, da bambini, per colpa del gioco. I movimenti dei delfini sono incredibilmente curati: le pinnate, i salti sopra le onde, le giravolte in acqua. E poi c'è la musica, un'elettronica di suoni sepolcrali e rumorini mesmerici creata dal compositore Spencer Nilsen, a quel tempo specializzato in sottofondi per videogame. Il team di sviluppo voleva qualcosa "alla Pink Floyd", Nilsen reinterpretò i termini della consegna campionando alcuni versi sottomarini dei cetacei e creando dei paesaggi sonori onirici dove note glaciali e lampi futuristici emergono dal morbido bordone dei sintetizzatori. Si racconta che Michael Jackson, appassionato videogiocatore, durante una visita agli uffici della Sega canticchiò la melodia della prima traccia di Ecco per tutto il tempo.
Nel 2010, vent'anni dopo, un importante disco di musica elettronica avrebbe citato il delfino della Sega sin dal titolo, utilizzando anche una illustrazione del videogioco per la copertina: Chuck Person's Eccojams Vol. 1, un album di Daniel Lopatin, meglio noto come Oneohtrix Point Never, uno dei musicisti più influenti della scena elettronica degli anni Dieci. Eccojams Vol. 1 è considerato il capostipite della musica vaporwave, un sottogenere caratterizzato da campionamenti ossessivi, dilatati e distorti, annegati sotto tappeti di suoni spettrali.
Nata come cazzeggio online e poi diventata una cosa da prendere sul serio, la vaporwave è stata una delle prime correnti culturali a giocare con la nostalgia della “prima era digitale": nel 2010, dopotutto, l'informatica, i computer, i sintetizzatori, i videogame, persino Internet, erano tutte tecnologie vecchie abbastanza da poter diventare oggetto di retrospezione. La vaporwave remixò i ricordi sbiaditi delle canzoni synth pop degli anni Ottanta, delle musichette dei primi PC, delle colonne sonore dei videogiochi 2D e di tutti gli altri immaginari futuristici che ormai erano definitivamente passati.
Rigiocare o giocare per la prima volta a Ecco the Dolphin è anche un gesto nostalgico. Vuol dire confrontarsi con i propri ricordi, vissuti o indotti, e con la memoria di un ambiente culturale ormai scomparso. Il mondo in cui Ecco uscì e diventò un successo mondiale non esiste più. Non esiste più l'industria videoludica di allora, che era una realtà multinazionale non ancora matura e che conservava elementi amatoriali. A ogni videogioco lavorava un team di cinque o sei persone, contro le centinaia – o migliaia – di oggi. L'ideatore aveva spesso un nome e un cognome, e allora il titolo usciva sul mercato quasi come fosse un suo romanzo. Lo scrittore di Ecco the Dolphin si chiama Ed Ettore Annunziata, nato nel Bronx da una famiglia di origine italiana. Annunziata aveva iniziato la sua carriera qualche anno prima lavorando a un videogioco didattico pensato per le scuole e basato su una serie educativa trasmessa dalla TV pubblica, The Voyage of the Mimi (dove appariva Ben Affleck dodicenne). La serie e il gioco raccontavano la vita delle balenottere. È in quel momento che Annunziata inizia a pensare a un vero videogioco di avventura con i cetacei come protagonisti. Viene assunto dalla Sega, azienda giapponese che in quegli anni si spartiva il mercato globale con la Nintendo. Lo mettono a produrre cose di altri, titoli che bisognava testare o adattare, videogiochi tratti dai fumetti Marvel come Spider-Man o X-Men.
Non si dimentica dei delfini, però, e appena può cerca di vendere l'idea ai piani alti. Ma alla Sega non gli vanno dietro, gli dicono che nessuno avrà mai voglia di mettersi nei panni di un pesce. "Non ero molto amato in quel periodo", dice Annunziata oggi nelle interviste. Ma non smette di crederci. E qualche anno più tardi spunta l'opportunità. La divisione statunitense della Sega ha bisogno di idee originali, indipendenti dalla casa madre di Tokyo, e vuole un titolo minore da vendere sotto le feste di Natale assieme ai videogiochi di punta. Annunziata si fa avanti per l'ennesima volta e i capi cedono.
È comunque una missione suicida. Alla Sega quelli bravi pensano a Sonic, a Mortal Kombat, alle cose importanti. Ad Annunziata per lo sviluppo di Ecco affidano invece una piccola e poco foraggiata casa di produzione esterna, la Novotrade International, nata in Ungheria sotto la cortina di ferro. Sono pochi e sono poveri. Ma insieme lavorano bene. Annunziata inventa la storia, un omaggio ai peggiori paperback di fantascienza degli anni Settanta: in un mondo post-umano, durante una inspiegabile tempesta magnetica, tutti i delfini dell'oceano vengono risucchiati in cielo. Tutti tranne Ecco, un delfino predestinato che dovrà salvare la sua specie. E che finirà per stringere accordi con entità soprannaturali a forma di doppia elica, viaggiare nel tempo, visitare le rovine di Atlantide, fare un giro nel giurassico, incontrare una razza di delfini super-evoluta che viene dal futuro e infine sconfiggere un mostro alieno, in qualche modo responsabile del rapimento dei suoi amici.
La trama è macchinosa e ambiziosa, folle al punto giusto. Il team ungherese si mette al lavoro sulla grafica. Per i fondali marini e gli ambienti naturali studiano le tavole naturalistiche dei libri di scienze. Per disegnare i livelli in cui compaiono i dinosauri si rifanno a Zdeněk Burian, l'illustratore cecoslovacco che aveva rivoluzionato l'estetica della paleontologia con i suoi lavori sugli animali preistorici. Per i livelli infestati dagli alieni, invece, ricalcano senza troppe cerimonie lo stile di Hans Ruedi Giger, visionario artista svizzero che dipingeva tetre creature con elementi organici fusi a elementi meccanici: lo stesso Giger che diede i connotati all'alieno del film Alien, a cui il boss finale di Ecco, un extraterrestre con una lunga testa verde, lucida, e delle zanne affilate, somiglia in maniera esplicita.
Lo spirito corsaro del team di Ecco si manifesta anche nel libretto che accompagna la cartuccia del videogioco, dove il team decide di riportare, senza chiedere i diritti, una pagina da The Living Sea, best-seller dell'eroe dell'esplorazione marina Jacques Cousteau. Lo spot televisivo girato per il mercato statunitense è poi un capolavoro di ribalderia. Viene ingaggiato un sosia dello stesso Cousteau, lasciando aperto il dubbio che possa trattarsi di lui. A bordo di un peschereccio, con l'iconica pipa in mano e un posticcio accento francese, il finto Cousteau si lamenta che gli uomini della sua flotta passino ormai tutto il tempo a giocare a Ecco. "Ze graphìcs are zo real, zey not want to go in ze sea anymore". La pubblicità viene ritirata quando Cousteau minaccia di fare causa.
C’è però una storia che più delle altre ha rinforzato l'aura di eccentricità attorno a Ecco the Dolphin, contribuendo negli ultimi anni a un’ulteriore riscoperta del titolo. Tutto parte da una dichiarazione di Annunziata in risposta a chi su twitter chiedeva quale fosse stata l'ispirazione per la trama lisergica del videogioco. "Non ho mai preso LSD, ma ho letto molti libri di Lilly". E qui bisogna aprire un nuovo capitolo.
*
John C. Lilly è stato un leggendario neurofisiologo, scienziato eretico, pioniere degli studi sull'alterazione della coscienza e sugli effetti dell'uso delle sostanze psichedeliche. Inventò la vasca di deprivazione sensoriale, una camera dove ci si immerge in un liquido saturo di sali minerali che permettono di galleggiare a pelo d'acqua e dove, nel buio più totale, si può piombare in uno stato onirico profondo. Per Lilly, esperto psiconauta, era un portale di accesso a stati mistici, soprattutto perché completava l'esperienza con l'assunzione massiccia di psichedelici.
La sua carriera scientifica iniziò in maniera canonica, con alcuni esperimenti sui centri del piacere nel cervello delle scimmie. Ci volle poco perché si interessasse alla possibilità di stabilire una comunicazione diretta con i delfini, che riteneva gli animali più evoluti del pianeta dopo gli esseri umani. Iniziò così a spingersi in territori stravaganti. Ted Nelson, uno dei pionieri della Silicon Valley, inventore del concetto di ipertesto, da ragazzo fu assistente di Lilly per un breve periodo. Oggi lo ricorda come "un uomo senza scrupoli e un grande artista della truffa, ma un'ottima compagnia". Lilly riuscì in qualche modo a raccogliere i finanziamenti della National Science Foundation e della NASA. Prima a Miami e poi in una elaboratissima villa-laboratorio con piscine e condotti per i delfini sulle Isole Vergini, ideò alcuni esperimenti per la comunicazione tra specie.
I diari di laboratorio riportano questo: Lilly assumeva una buona dose di LSD e si chiudeva in una vasca di deprivazione sensoriale. Nel frattempo, in una delle piscine lì accanto, Margaret Howe, giovane volontaria appassionata di mare, provava a insegnare l'inglese a Peter, un delfino di sei anni catturato dal team di Lilly dopo una sanguinaria battuta di caccia alla ricerca di cavie. Gli influssi metempsicotici delle esperienze trascendentali di Lilly nella vasca avrebbero dovuto facilitare la comunicazione interspecie tra Margaret e Peter. A quel punto, come un bambino, Peter avrebbe, piano piano, imparato la lingua inglese, appreso il significato delle parole e le modalità di uso di quei versi. E allora, magari non subito, magari non Peter, ma prima o poi qualche delfino avrebbe di certo iniziato a barbugliare un po' di inglese, e avrebbe potuto raccontare a Margaret e John e tutti quanti noi che cosa si prova a essere un animale, che speranze, sogni e ambizioni ha la sua specie, che idea si son fatti, loro, in tutti questi anni, del senso della vita. Inutile dire che sarebbe stato un esperimento rivoluzionario. (Inoltre, aggiungeva Lilly, i delfini sono esseri multidimensionali capaci di viaggiare nel tempo, e allenarci alla comunicazione tra specie non ci farà trovare impreparati all’inevitabile sbarco degli alieni sulla Terra. Ma di queste cose, all'inizio, parlava solo ai collaboratori più stretti).
Ogni mattina Margaret Howe e Peter si trovavano nella vasca. Esistono le registrazioni dell'addestramento, in cui si sente il delfino che tenta, a volte con buon successo, di replicare i versi umani di Howe ("Hello" "One two three" "Margaret" "Peter"), esattamente come può fare un pappagallo. Nessun indizio però lascia pensare che Peter capisse il significato dei suoni umanoidi che emetteva. In più, quando arrivò la pubertà, il delfino divenne irrequieto. A quel punto la ricercatrice si convinse che l’unica soluzione per togliere di mezzo la distrazione sessuale fosse soddisfarla. Ogni giorno prendeva in mano il sesso eretto di Peter e lo strofinava due o tre volte, finché non si ritraeva. Solo così il delfino tornava docile e lei poteva riprendere le lezioni di inglese. Quando questa consuetudine verrà alla luce, Howe non riuscirà a spiegarsi lo sconcerto della stampa.
Ma i mesi passano e l'insegnamento dell'inglese non progredisce. Siamo fermi ai tre quattro versi delle prime sessioni. Lilly rimane convinto del progetto e decide allora di radicalizzare la sua ricerca per ottenere qualche risultato. In una serie di scelte sempre più audaci, dopo aver somministrato LSD anche ai delfini, si alienerà i collaboratori – spaventati dai suoi metodi – e i finanziatori – imbarazzati dalle notizie che filtravano. È così che Lilly esce definitivamente dal consesso scientifico e imbocca un percorso di vita alternativo, quello da santone cosmico, da capo spirituale indisciplinato e folle. Qui ci limitiamo a raccontare l'essenziale: passa alle anfetamine, a nuovi stati dissociativi, alla ketamina. Sperimenta l'essere e il nulla, la coscienza senza oggetto. Racconta di essere in contatto con tre entità sovrannaturali che controllano le vite degli esseri umani, una sorta di istituzione cosmica che governa tutto. Si chiama, scopre in uno dei suoi trip, Ufficio di Controllo delle Coincidenze Terrestri, in inglese Earth Coincidence Control Office, in breve E.C.C.O.
E così il cerchio si chiude. È questo il sigillo magico che quarant'anni dopo avrebbe dato vita al gioco, intrappolando e liberando la mente di milioni di persone.
Nel frattempo però Annunziata ha cambiato versione. "Niente droghe, niente stronzate contro-culturali". Il nome del videogioco doveva essere "Echo", dice ora, nel senso dell'eco-localizzazione che usano i delfini per cacciare e orientarsi. Poi lui l'ha italianizzato, trasformando l'acca in una seconda ci. L'ispirazione verrebbe da un romanzo degli anni Ottanta: Sounding. Una specie di Moby Dick in versione bromance militare dove un ufficiale russo usa il sonar del suo sottomarino per fare amicizia con un anziano capodoglio. "Una lettura magnifica". Però il nome dello scrittore, che è Hank Searls, nelle interviste Annunziata non se lo ricorda neanche. "Hank Qualcosa", dice soltanto.
#1 NOI SPERIAMO CHE CE LA CAVIAMO
Abbiamo scritto un racconto che si troverà in libreria da mercoledì prossimo, 6 giugno, in un’antologia curata da Ivan Carozzi. Il libro si chiama Che traccia hai scelto : è un gioco con la memoria in cui un’ideale “classe di autrici e autori molto eterogenea” si cimenta, di nuovo, con la prima prova dell’esame di maturità. Eccoci allora in compagnia di una strana brigata imprevedibile, da Barbara Alberti a ChatGPT, da Bianca Pitzorno al Chicoria, da Giulia Cavaliere ad Antonio Moresco.
Alle varie firme è stato chiesto di riscrivere il tema della propria maturità, di tornarci sopra dopo tanti anni. Noi però abbiamo deciso di scrivere un racconto. Abbiamo immaginato Gabriele Lomanto, un ricco studente in crisi esistenziale che si costringe a commentare una poesia di Giorgio Caproni (la traccia è quella dell’esame del 2017: l’anno in cui è nata MEDUSA).
#2 POPOLI
Ci è piaciuto molto un reportage di Claudio Giunta uscito sul Post qualche tempo fa. È il reportage di un viaggio in Vietnam, una nazione che sta attraversando un suo particolare miracolo economico, sviluppando una serie di contraddizioni non così lontane da quelle vissute dall’Occidente del secondo dopoguerra.
La rivoluzione dei consumi avrà prodotto senz’altro anche qui i suoi Alberto Sordi, i suoi squaletti affogati dalle cambiali. «È incredibile come non si impari dagli errori degli altri», mi dice il mio compagno di gita, un diplomatico esperto di nazioni in via di sviluppo, indicando fuori dal finestrino del taxi la fiumana di camion, auto e soprattutto, soprattutto motorini che esce lenta ma inarrestabile dalla città mentre noi ci rientriamo. No, non s’impara dagli errori degli altri: s’impara facendoli, ripetendoli; e ci vogliono anni, generazioni. Vale per la vita delle persone, perché non dovrebbe valere per la vita dei popoli?
Sul dopoguerra, specialmente quello italiano, abbiamo scritto e continueremo a farlo: perché è in quegli strappi che si nasconde l’umanità che ci ha partorito, la società della grande accelerazione, la letteratura che esplora la giungla della nuova natura.
Sono state scoperte più di 5.000 nuove specie che vivono sul fondale marino in un’area incontaminata dell'Oceano Pacifico.
Si stima che circa il 90% delle nuove specie non sia mai stato avvistato prima. Una di queste è stata soprannominata "scoiattolo gommoso", a causa della sua coda enorme e del suo aspetto gelatinoso.
Le 5.578 specie vivono sui fondali pacifici tra i 4.000 e i 6.000 metri di profondità: il loro habitat è stato assegnato a 17 diverse società minerarie alla ricerca di cobalto, manganese e nichel, i metalli rari della transizione ecologica.
Al momento dell’invio di questa newsletter, nell’aria danzano 424,61 ppm (parti per milione) di CO2.