EXTRA! STIGMATE
di Matteo De Giuli. Alcuni appunti su Philip K. Dick: leggerete di ironia e bambole, di consumo e Le Guin, di visioni e traduzioni, di Jaguar e follia.
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Qualche settimana fa ho riletto Le tre stigmate di Palmer Eldritch di Philip K. Dick nella nuova traduzione di Marinella Magrì. Il volume esce con la cura di Emanuele Trevi e l'introduzione di Emmanuel Carrère e fa parte delle nuove edizioni dei romanzi di Dick che Mondadori ha iniziato a pubblicare da circa un anno. Non è possibile dire qualcosa di nuovo su Dick. Qui sotto c'è qualche appunto che ho messo giù in occasione di un incontro organizzato dalla libreria Anarres di Milano.
Le tre stigmate (nelle vecchie edizioni era stimmate) è il romanzo migliore per capire Philip K. Dick come scrittore gnostico e al tempo stesso ironico. Gnostico perché Dick è il Dostoevskij del secondo dopoguerra (come hanno detto Lethem, Carrère, ecc...), con una scrittura tesa alla ricerca della conoscenza, alla ricerca di verità sommerse sull'esistenza e epifanie sulla realtà e la percezione. Dick aveva sviluppato una sua filosofia profetica in cui convivevano gli Atti degli apostoli, l'induismo, l'I Ching e i classici greci. Ma è stato anche uno scrittore ironico, di un'ironia a volte goffa, non lavorata, spontanea, un'ironia cupa e kafkiana che rivolgeva ai destini del mondo.