EXTRA! LA NATURA DELLA SOCIETÀ
di Matteo De Giuli e Nicolò Porcelluzzi. Un estratto dalla nostra introduzione del saggio di Dipesh Chakrabarty "Clima, Storia e Capitale".
Benvenuti, questo è il primo numero extra di MEDUSA, una newsletter a cura di Matteo De Giuli e Nicolò Porcelluzzi – in collaborazione con Not.
Gli EXTRA sono i numeri speciali, a cadenza irregolare, riservati agli abbonati annuali o mensili che hanno deciso di sostenere il nostro progetto. Il prossimo numero “classico” di MEDUSA arriverà invece, come da calendario, tra una settimana.
Siamo molto contenti di vedervi qui! Oggi vogliamo condividere con voi un estratto dalla lunga introduzione che abbiamo scritto per Clima, Storia e Capitale di Dipesh Chakrabarty (Nottetempo, 2021), che raccoglie i suoi due articoli più importanti: “Il clima della storia: quattro tesi” e “Clima e capitale: storie congiunte”.
Chakrabarty è uno storico indiano, professore presso l'Università di Chicago. Si è imposto come una delle figure di maggior rilievo della Postcolonial Theory col suo Provincializzare l’Europa (Meltemi, 2000). A partire da "The Climate of History" partecipa al dibattito mondiale sul cambiamento climatico con una riflessione sulla percezione del tempo storico e sui limiti della storiografia: la forza dei saggi di Chakrabarty sta proprio nel racconto della paralisi del pensiero di uno storico che cerca di capire come la sua disciplina cambia davanti ai cambiamenti climatici.
Scrivere la prefazione di cui troverete un estratto qui sotto (quella integrale è lunga 50.000 battute), per noi è stata un’occasione preziosa non solo per confrontarci vis a vis con il materiale teorico di uno degli studiosi del clima più influenti su scala mondiale, ma anche per capire dove il lavoro costruito negli anni su MEDUSA potesse portarci; un lavoro che non può prescindere dai linguaggi della storia e della geopolitica, lontano dalla nostra mescola di scienza e letteratura. Ci siamo trovati a raccontare di correnti oceaniche e morìe di uccelli migratori, di filosofi svedesi e scrittori sovietici caduti nell’oblio, cercando di alimentare il discorso perpetuo che non possiamo abbandonare: come si può pensare, l’emergenza climatica? E soprattutto, che cosa si può fare?
Dipesh Chakrabarty, bengalese, cresce a Calcutta negli anni ’50 e ’60. Durante gli studi si avvicina agli ambienti della sinistra universitaria. Si diploma in Fisica, poi sceglie un master di formazione manageriale e ottiene infine un dottorato in Storia a Canberra, in Australia. È qui che per la prima volta scopre e si appassiona alla natura dei grandi spazi aperti, panorami che le megalopoli indiane occultavano dietro il brusio umano. Dei primi anni in Australia Chakrabarty racconta soprattutto la scoperta del bush e degli animali selvatici, ma anche i grandi incendi, la siccità.
All’inizio della sua carriera, e per diversi anni, lega il suo nome allo studio dei processi coloniali. Il suo lavoro più importante, Provincializzare l’Europa, è una riflessione sulla globalizzazione: con un approccio alto di tipo accademico e un punto di vista filosofico e storico tra Marx e Heidegger, Chakrabarty indica le storture storiche create dal capitalismo e dall’imperialismo del vecchio continente. Senza dilungarci troppo, ora, su questa parte del suo lavoro, ci sono almeno un paio di cose che vale la pena di tenere a mente. A partire dalla critica all’idea della modernità europea. L’Europa ha avuto la baldanza (e la forza, la violenza) di “inventare” il progresso e dichiararlo “universale”. Ha imposto come naturali le proprie idee di sviluppo, senza prevedere alcuno spazio per le modernità diverse, alternative, che possono nascere o che esistono già nelle altre società. In questo modo, dice Chakrabarty, la storia “ufficiale” è diventata (e forse è sempre stata) una sorta di istituzionalizzazione dello sguardo europeo sul resto del mondo – uno sguardo che, per di più, si è forgiato e solidificato proprio negli anni in cui emergeva la società capitalistica.
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